Post nella categoria “differenze culturali”
21 marzo, giornata mondiale della poesia
Il 21 marzo è il primo giorno di primavera* e si festeggia anche la giornata mondiale della poesia – World Poetry Day – istituita dall’UNESCO.
Nell’immagine, i primi versi di una poesia di Emily Dickinson del 1862 nota come I dreaded that first Robin… [J348]. Esprime tormento per l’arrivo della primavera e il risveglio della natura, una rinascita in conflitto con la propria sofferenza interiore.
L’inizio della primavera è simboleggiato da that first Robin che nelle traduzioni italiane viene reso letteralmente con “quel primo pettirosso” (esempio). È una metafora che però può essere fuorviante per un lettore italiano: nel nostro immaginario il pettirosso è un uccellino invernale che è raro vedere in questa stagione.
Quanti sono i continenti? Dipende dalla lingua!
Questa è sicuramente una notizia tradotta perché è nei paesi di lingua inglese che si contano sette continenti: Asia, Africa, North America, South America, Antarctica, Europe, Australia (si distingue tra Nordamerica e Sudamerica).
Non è così in italiano! Tradizionalmente si consideravano solo le terre abitate e si contavano cinque continenti: Africa, America, Europa, Asia, Oceania, come nella rappresentazione dei cerchi olimpici. Ora invece si include anche l’Antartide e quindi i continenti sono sei.
“Che vuoi?” Un’emoji, più gesti, molti nomi
Nelle notizie di inizio ottobre 2020 è riapparsa una nuova emoji che aveva già fatto parlare di sé come tipico gesto italiano qualche mese fa, quando il consorzio Unicode aveva annunciato le nuove emoji dell’aggiornamento 13.0.
È stata aggiunta grazie alla proposta di un italiano, Adriano Farano, che in un’intervista ha spiegato come ha avuto l’idea e come l’ha concretizzata nella proposta presentata a Unicode, “What do you want?” Pinched Fingers Emoji Proposal, un documento ricco di riferimenti culturali.
Il cardinale rosso
Passando da un sistema operativo a un altro, o a una diversa piattaforma, a volte si notano differenze vistose nell’aspetto della stessa emoji. Nel set degli animali un esempio è l’emoji dell’uccello: Apple lo rappresenta con una testa grigia, WhatsApp con una testa beige, Google con un pappagallino blu, altri con ulteriori variazioni (cfr. Emojipedia).
Twitter e Microsoft invece hanno scelto un uccellino rosso:
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Le due diverse emoji rappresentano entrambe un cardinale rosso (Cardinalis cardinalis), uccello molto diffuso negli Stati Uniti, quindi le immagini stilizzate dovrebbero essere facilmente riconoscibili per un americano.
La cultura, software della mente
È scomparso lo psicologo olandese Geert Hofstede, un ricercatore che ha avuto un ruolo rilevante nella comprensione delle differenze culturali, in particolare in contesti professionali.
La notizia mi ha fatto subito pensare all’espressione software of the mind, che Hofstede aveva coniato negli anni ‘80 per descrivere il concetto di cultura: una “programmazione collettiva” della mente umana che accomuna i membri di un gruppo o una categoria di persone e li distingue da altri, e cioè un sistema condiviso per l’interpretazione di realtà ed esperienze.
Hofstede aveva identificato le manifestazioni della cultura rappresentandole in un diagramma “a cipolla”. Più un aspetto è esterno e più facilmente è riconoscibile ed eventualmente riproducibile da altre culture:
Fat shaming: in italiano, senza vergogna
L’anglicismo body shaming descrive la pratica di criticare pubblicamente qualcuno per l’aspetto fisico, in particolare se è grasso: fat shaming. È un comportamento riprovevole molto diffuso ma il nome inglese spesso è frainteso, non coinvolge emotivamente e impedisce di capire la gravità del fenomeno.
C’è un’alternativa italiana? Sì, spiega su Sette Costanza Rizzacasa D’Orsogna, con cui ho scambiato qualche idea:
Qui aggiungo alcuni dettagli lessicali sull’origine, l’uso e l’evoluzione del concetto di shaming nell’inglese americano. In breve: non significa né “svergognare” né “far vergognare”.
Anna D’Errico: Le parole dell’olfatto…
Qualche anno fa in Odore di “freschìn”, una questione di DNA?!? avevo descritto un odore sgradevole per me inconfondibile, lasciato da uova o pesce sulle stoviglie, che però non ha un nome italiano. Avevo notato che solo chi parlava una lingua o un dialetto in cui esisteva una parola era in grado di percepire l’odore e mi ero chiesta se potesse esserci un legame tra lingua e genetica.
Finalmente ho una risposta, grazie ad Anna D’Errico, neuroscienziata esperta di olfatto e autrice del libro Il senso perfetto. Mi fa molto piacere ospitarla sul blog con un intervento sui diversi aspetti di tipo biologico, psicologico e culturale che possono intervenire nella percezione degli odori e che possono riflettersi anche nella lingua.
Contro il logorio della vita moderna…
Qual è l’età sotto la quale la frase Contro il logorio della vita moderna non è significativa? E quanto vecchi bisogna essere per sapere chi era la persona della foto e cosa pubblicizzava?
Me lo sono chiesta a fine cena in un ristorante milanese quando la cameriera, una ragazza lombarda sui 20-22 anni, ci ha proposto una serie di liquori e amari, dal limoncello al “sìnar”.
Decodifica aberrante: la lattina di Excel!
In Giappone ha fatto discutere il commento di un ragazzo che si chiedeva perché il pulsante Salva di Excel fosse rappresentato dall’immagine stilizzata un distributore automatico di bibite, con tanto di lattina appena uscita.
È un esempio di decodifica aberrante che avviene quando la comprensione del messaggio da parte del destinatario non corrisponde alle intenzioni comunicative dell’emittente: vengono usati codici diversi che assegnano significati diversi agli stessi significanti.
Artigiani delle parole (e specialisti culturali)
Domenica 13 ottobre sarò ad Artigiani delle parole, due giornate di formazione organizzate da Langue&Parole a Milano per traduttori, giornalisti, copywriter, editor e chiunque usi la scrittura per lavoro o sia interessato all’uso della lingua.
Specialisti culturali
Nel mio intervento, Gli specialisti culturali: l’enciclopedia del “non detto” illustrerò alcuni tipi di informazioni linguistiche ed extralinguistiche che usiamo per interpretare gli aspetti non espliciti della comunicazione ma che sono anche potenziale causa di incomprensioni per chi appartiene a lingue o culture diverse.
Un esempio di riferimenti culturali di tipo generazionale che richiedono conoscenze specifiche è la data di oggi, primo ottobre. È una ricorrenza ancora significativa per chi ha superato i 45 anni ma non particolarmente rilevante per chi invece è più giovane.
Panini mampfiosi
Polemiche anche in Italia per una pubblicità austriaca della catena McDonald’s, apparsa su cartelloni a Vienna a inizio luglio. Ieri anche il nostro ministro degli interni se ne è lamentato con un tweet:
Se però si analizza lo slogan für echte Mampfiosi dal punto di vista dei destinatari a cui è rivolto, dei meccanismi linguistici di formazione delle parole e del contesto in cui è apparso, la presunta associazione italiani = mafiosi va ridimensionata.
Stupisce comunque che una multinazionale come McDonald’s non abbia considerato le potenziali controversie di una tale scelta lessicale.
Cosa significa l’emoji a testa in giù? 🙃
L’immagine, da The Emoji Report di Brandwatch, mostra le 50 emoji più usate su Twitter negli oltre 6 miliardi di tweet pubblicati nel periodo 1 settembre 2015 – 30 settembre 2017.
In basso, sulla sinistra, si può notare che tra le emoji più comuni c’è anche la faccina a testa in giù (nome ufficiale Unicode in inglese: upside-down face, “sottosopra”). Anche a voi è capitato di chiedervi come vada interpretata o vi è sembrato che l’uso sia diverso a seconda di chi la usa o del contesto?
Se la risposta è affermativa, siete in buona compagnia: è una delle emoji più ambigue, come si può vedere anche dagli esempi d’uso in Twitter e nella voce 🙃 di Emoji Dictionary
Quando si apprezza un libro (e altro)
Quando ho letto questa citazione, ho pensato fosse un frase tradotta ancora prima di arrivare al nome dell’autore, che me l’ha confermato.
Ho recuperato il testo originale: “You know you’ve read a good book when you turn the last page and feel a little as if you have lost a friend.”
Per esprimere apprezzamento per una lettura che mi ha dato piacere, come penso intenda l’autore della citazione, in italiano direi un bel libro. Riserverei un buon libro a un testo che ritengo utile o che è ben scritto.
In inglese, invece, in entrambi i casi si può dire a good book.
Fibsy wibsy, è reduplicazione
Per chi non conosce Pearls Before Swine, Pig è un personaggio infantile, tonto e anche un po’ fifone che interpreta tutto letteralmente e che mi fa sempre sorridere. In questa striscia però ho notato soprattutto alcuni dettagli linguistici e culturali.
Peachy, all’americana
L’aggettivo peachy (da peach, pesca) ha due accezioni:
1 “simile a una pesca” come colore, sapore o sensazione al gusto o al tatto;
2 un significato figurato informale di molto piacevole, ottimo, che va molto bene, usato principalmente nell’inglese americano: si tratta quindi di un esempio di variazione diatopica.
Trucchetto “inglese” per la tabellina del 9
Questa illustrazione di Sketchplanations descrive l’espediente per calcolare la tabellina del 9 con le dita come viene insegnato ai bambini inglesi:
Con i palmi delle mani rivolti verso di sé, basta piegare il dito che corrisponde al secondo fattore (nell’esempio, il terzo dito per calcolare 9×3) e contare le altre dita: il numero di dita a sinistra di quello piegato rappresenta le decine, quello a destra le unità.
Se si confronta questa descrizione con quella dell’illustrazione, si può notare anche una differenza particolare: le tabelline inglesi hanno l’ordine dei fattori invertito rispetto a quelle italiane.
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