“Speriamo che faremo bene”: dov’è l’errore?

speriamo che faremo

Subito dopo il giuramento del governo Draghi (febbraio 2021), su Twitter è scoppiata una polemica linguistica, riportata poi da vari media, su alcune frasi del neoministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, emiliano. Esempio: 

Bianchi si è fermato a parlare con i cronisti rispondendo a chi gli chiedeva quando aveva scoperto della sua nomina: “L’ho imparato ieri”, dice invece del corretto “l’ho appreso ieri”. Poi un altro scivolone: “Speriamo che faremo bene”.

Per quel che ho potuto vedere si tratta di notizie “acchiappaclic” perché non sono state date spiegazioni che giustifichino la presunta gravità degli errori.

L’accettabilità di l’ho imparato ieri

Tutti i dizionari di italiano registrano l’accezione “venire a sapere” di imparare, marcata come uso regionale. Non è una forma dialettale, come è stato affermato impropriamente da alcuni: si tratta invece di un uso circoscritto ad Emilia-Romagna e alcune altre regioni ed è un esempio di variazione diatopica (il modo in cui una lingua cambia nello spazio geografico).

Non è un errore: questa accezione regionale non è né agrammaticale né scorretta, a differenza invece dei malapropismi o di imparare confuso con insegnare

Questo uso può invece violare la cosiddetta norma sociale, il giudizio linguistico della comunità dei parlanti che ricorrono alla propria percezione dell’accettabilità di una parola o di una costruzione in un contesto e in una situazione comunicativa specifici. 

Nel caso di un ministro, ci si aspetta che anche in un veloce scambio di battute chi ricopre questo ruolo ricorra a un registro non informale e si esprima in una varietà di lingua “neutra”, priva di particolari marche sociolinguistiche e quindi anche di usi regionali (cfr. il concetto di italiano standard).

Le critiche a l’ho imparato ieri – in quanto accezione non riconosciuta o incongruente con il registro previsto – esprimono un giudizio di accettabilità. Nelle discussioni sui social però questa percezione di inadeguatezza è stata ripetutamente confusa con agrammaticalità (“errore”) o ignoranza del lessico.

I media hanno indicato come forma corretta alternativa l’ho appreso ieri. Ho qualche perplessità: apprendere nel senso di “venire a sapere” è un’accezione che associo all’italiano scritto formale e in uno scambio di battute lo troverei aulico e quindi altrettanto inadeguato. Mi aspetterei invece l’ho saputo oppure l’ho scoperto.

L’accettabilità di speriamo che faremo bene

È stata stigmatizzata anche la frase speriamo che faremo bene, o più precisamente speriamo che faremo tutti bene. Non ho però trovato alcuna indicazione sull’alternativa “corretta” né spiegazioni convincenti sulla natura del presunto errore: solo opinioni personali come “è cacofonico” o “non suona bene”. 

Anche in questo caso la frase non è agrammaticale. Come spiega il Vocabolario Treccani, il verbo sperare prevede varie costruzioni e tra queste può essere seguito da una proposizione oggettiva o dichiarativa introdotta da che, con il verbo al futuro o al congiuntivo: spero che vorrai riconoscere i tuoi errori; spero che verrai a trovarmi più spesso; speriamo che tutto si accomodi. Su questo modello: spero che faremo tutti bene, spera / sperano che faremo tutti bene e quindi anche speriamo che faremo tutti bene!

Fuori contesto la frase può risultare insolita perché il soggetto è lo stesso nella proposizione principale e nella subordinata, e in questi casi è più frequente un’altra costruzione di sperare in cui è seguito dalla preposizione di con un verbo nel modo infinito: spera di essere promosso (vs. spera che sarà promosso) e quindi anche speriamo di fare tutti bene.

È però possibile che la costruzione esplicita con il modo finito sia una scelta consapevole e la prima persona plurale anche nella subordinata serva a sottolineare un’azione comune nella pluralità [del governo]. È un’impressione confermata dalle altre parole di Bianchi che, stando a quanto riportato dai media, subito dopo speriamo che faremo tutti bene ha continuato con partiamo da quello che c’è, da una situazione difficile che riusciremo ad affrontare.

Mi sembra quindi che in questo caso il giudizio sull’accettabilità di speriamo che faremo sia stato falsato da un’analisi frettolosa di parole isolate e fuori contesto.


Per saperne di più: la voce italiano regionale nell’Enciclopedia dell’Italiano Treccani. È molto dettagliata e ricorda anche che per un parlante, anche colto, può essere difficile avere consapevolezza dei regionalismi perché fanno parte del proprio standard linguistico e non violano la norma sociale della propria comunità.

Vedi anche: Si dice o non si dice? Dipende, con alcuni fattori che influenzano adeguatezza, pertinenza ed efficacia delle scelte comunicative, e con lo schema di G. Berruto con le variabili sociolinguistiche che contribuiscono alla multidimensionalità della lingua:

Architettura dell’italiano contemporaneo di Gaetano Berruto 

 

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20 commenti su ““Speriamo che faremo bene”: dov’è l’errore?”

  1. Roberto:

    Buon giorno, Licia.
    Dal momento che in italiano non esiste il congiuntivo futuro, non vedo altro modo in cui il neo-ministro avrebbe potuto esprimere l’augurio di fare bene (azione futura; deve ancora iniziare a lavorare), quindi non capisco le critiche e le ironie che stanno correndo sui social.
    Per quanto riguarda quel “l’ho appreso ieri”, che ha suscitato più indignazione, sappiamo che il romagnolo non risuona tanto nei film e nelle serie televisive, altrimenti sarebbe già diventata una espressione accettata a livello nazionale; magari insieme con “abbiamo rimasto”, chissà…

  2. LazyCosyBrain:

    Esatto. Alla fine è un problema più di stile che di grammatica. Per quanto riguarda “l’ho imparato”, anche il verbo inglese to learn ha tra i possibili significati quello di “apprendere una notizia” anche se è più comune l’uso del verbo frasale to find out.

    Sebbene l’uso del futuro in una subordinata ottativa sia grammaticalmente corretto, capisco che molte persone trovino rindondante il suo uso con un verbo come sperare nella proposizione principale che già rimanda l’idea di un’azione nel futuro. In genere, quando parlo o scrivo, mi do questa regola: se la persona grammaticale in una proporzione ottativa è la stessa sia nella principale che nella subordinata uso quasi sempre una costruzione implicita, in tutti gli altri uso una costruzione esplicita con il congiuntivo. In questo modo non sia ha quell’effetto di “doppio futuro” dato dal verbo sperare nella principale e dal verbo coniugato al futuro nella subordinata.

  3. Marco Nani:

    Secondo Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET 1989, pp.49-50, reggono solo il congiuntivo i verbi che esprimono “una volizione (ordine, preghiera, permesso), un’aspettativa (desiderio, timore, sospetto), un’opinione o una persuasione”, tra cui ‘sperare’. Questo ovviamente non volendo optare per la forma *di* (speriamo di fare bene). Nel caso specifico, col congiuntivo, si tende a usare l’impersonale, direi (speriamo si faccia bene). Comunque, i social sono fatti per sollevare queste sciocche beghe. Buon lavoro al neoministro piuttosto.

  4. Mauro:

    Confesso che sul considerare errore l’uso di “imparare” in questo caso ci sono cascato anch’io (anche se non ne ho scritto e ho tenuto la convinzione per me, per fortuna).
    L’uso di sperare+futuro, invece… basta aver fatto la quinta elementare per sapere che forse non è elegante, ma è comunque corretto!

  5. Rossella Paschi:

    Io direi “l’ho saputo ieri” e “speriamo di far bene”, le due espressioni usate dal ministro non mi sembrano corrette per un ministro.

  6. Maurizio Paone:

    Pensavo a cosa avremmo detto di un neo ministro siciliano che avesse detto “scendo subito la busta”. Eppure sul dizionario online di Treccani risulta regionale come uso. https://www.treccani.it/vocabolario/scendere/
    Direi piuttosto che l’errore esiste e che il ministro ha detto correttamente di averlo detto di impeto (ognuno di noi commette errori parlando). Dire però che non sia un errore è sbagliato.

  7. Licia:

    @Roberto in effetti la ripetizione crea familiarità, e poi il romagnolo crea simpatia. Il famigerato abbiamo rimasto (descritto in Si dice in Romagna…) però è un esempio di altro tipo: non riguarda il lessico, che è la parte più superficiale della lingua, ma una costruzione grammaticale.

    @LazyCosyBrain grazie per i dettagli. Credo comunque che nella maggior parte dei casi le scelte linguistiche personali non nascano da un ragionamento “a tavolino” ma da consapevolezza anche istintiva di cosa possiamo ottenere con la lingua.

    @Marco grazie per il riferimento però non riesco a capire se secondo Serianni sperare vada classificato tra i verbi che reggono solo il congiuntivo, senza considerare indicativo futuro? Mi pare davvero strano: tutti i dizionari riportano esempi della costruzione con il futuro.

    @Rossella nel post ho cercato di distinguere tra agrammaticalità e scorrettezza vs [giudizio di] accettabilità. Se ci sono dei passaggi non chiari mi sarebbe utile capire quali.

    @Maurizio anche in questo esempio, come per ho rimasto, vengono messi sullo stesso piano un’accezione non standard (lessico) e una costruzione non standard (sintassi), che però hanno un impatto diverso. Altre considerazioni sui verbi intransitivi usati transitivamente e la loro accettabilità in I media e la bufala di “esci il cane”.

  8. Daniele A. Gewurz:

    Per quanto riguarda l’uso regionale di “imparare”, o Bianchi non si rende conto che al di fuori della suo regione suona insolito, o se ne rende conto benissimo e se ne infischia; entrambe non mi sembrano le caratteristiche migliori per un ministro della Repubblica. Ma ovviamente non lo si può giudicare da una singola frase.

  9. Licia:

    @Daniele, ecco la reazione di Bianchi: “Ho commentato la mia nomina da Ministro, dopo il giuramento, utilizzando un’espressione tipica emiliana. L’emozione del momento mi ha già fatto guadagnare un’imitazione del bravissimo Crozza, peraltro splendida” [fonte]

    Penso sarebbe interessante trovare un modo di valutare che effetto faccia questa accezione di imparare su base regionale, e cioè a seconda della distanza da Emilia-Romagna, Marche e altre zone dove è normalmente usata (per capire se risulta più o meno accettabile).

    Invece sulla consapevolezza dei regionalismi, non sempre scontata come sottolinea anche l’Enciclopedia dell’Italiano, io sono nata nel Veneto da famiglia veneta ma sono cresciuta in Romagna e ti potrei fare moltissimi esempi di romagnolismi che erano palesi solo per me. Il più eclatante: alle medie e al liceo avevo vari insegnanti che usavano avere rimasto (ad es. abbiamo rimasto ancora un capitolo) senza rendersi conto che non era italiano standard. Ti potrei fare moltissimi altri esempi lessicali, come sportina per il sacchetto di plastica del supermercato, ma anche regionalismi di altre aree geografiche dove ho vissuto o che ho scoperto grazie al contatto con colleghi da tutta Italia (all’università a Trieste prima e per lavoro a Dublino poi): ne saltava fuori sempre qualcuno di nuovo! E a me queste variazioni piacciono TANTISSIMO.

  10. Flavia:

    Ce ne sono molte di accezioni del vb ‘imparare’, fra le quali “Region. Essere informato di qualcosa” : GDLI 7. http://www.gdli.it/pdf_viewer/Scripts/pdf.js/web/viewer.asp?file=/PDF/GDLI07/GDLI_07_ocr_409.pdf&parola=imparare .
    Comprensibilissima e accettabile come forma, sebbene antiquata.
    Piccolo aneddoto risalente agli anni ’80: attorno a una tavolata di avventori festanti in una trattoria della bassa ferrarese, era uscita la battuta ” Se l’impèra Spadolini…” presidente del consiglio dell’epoca, credo. Se lo vengono a sapere i puristi che si può usare ‘imparare’ nell’accezione 7. del GDLI (come Monti, Foscolo, Carducci, Bacchelli). 😀

  11. Licia:

    @Flavia, grazie per il riferimento al Grande Dizionario della Lingua Italiana che mostra che anche scrittori come Monti, Foscolo e Carducci usavano il verbo imparare nel senso di venire a sapere. Riporto qui il dettaglio:

    7. Region. Essere informato di qualcosa.. Monti, II-121: Imparo in questo momento che sono arrivati ieri sera due straordinari a Le-Brune da Parigi. Foscolo, XVIII-199: Oggi solo, e da voi solo ho imparata che l’Ortis per la sua disgrazia trovò un continuatore officioso... Carducci, III-25-254: Da una corrispondenza padovana del ‘ Resto del Carlino ’ imparo che il ‘ Corriere della Sera ’ a proposito del concorso all’insegnamento di letteratura italiana nella Università di Padova mette in accusa me. Bocchelli, 2-I-323: - Sapete, Signora, che i gentiluomini della nostra corte, prima di partire per il campo, vogliono offrire a voi e alle vostre dame lo spet¬ tacolo di una partita d’armi? - L’imparo con piacere.

    Ne approfitto per ricordare che il GDLI è un dizionario storico e quindi ha finalità diverse dai dizionari dell’uso che invece documentano il lessico della lingua contemporanea.

  12. Isadora:

    Chi parla male pensa male( per citare ilaestro Moretti)!
    Se fosse stata unna donna ad esprimersi in tal senso sarebbe stata messa al pupplico ludibrio con maggior intensità!
    Non mi fido Comunque non mi fido di persone che non vivono dall’ interno la problematica della scuola!
    Troppo facile sentenziare senza conoscere!

  13. Luciano Cresoi:

    Quindi anche “Può essere che raggiunge”, con cuila giornalista RAI ha aperto ieri sera il servizio sulle votazioni in Senato, è ammissibile? Povera lingua italiana

  14. Gloria Barberi:

    Si dovrebbe dire “speriamo di fare bene”. In questo caso non si usa il futuro. È veramente sconfortante sapere che persone che dovrebbero essere istruite si abbandonano a certi orridi svarioni

  15. Licia:

    Mi fa piacere che questo post abbia suscitato interesse e sia stato letto anche da moltissime persone che non conoscevano il blog. Ringrazio chi trova il tempo per aggiungere commenti, però vorrei chiedere a chi non è d’accordo con le mie argomentazioni di spiegare anche perché.

  16. Santa:

    Buongiorno Licia,
    grazie per il prezioso commento che condivido. Certo un ministro dell’Istruzione….

  17. Elena Maria Buccini:

    IL PROBLEMA NON E’ IL FUTURO O IL CONGIUNTIVO, MA IL FATTO CHE SIA LO STESSO SOGGETTO! COME NON E’ CORRETTO DIRE ” IO SPERO CHE IO SIA “. QUANDO IL SOGGETTO E’ IL MEDESIMO IN ENTRAMBE LE FRASI, BISOGNA USARE ” DI + INFINITO ” = IO SPERO DI ESSERE ( IO / IO ) ( MENTRE: IO SPERO CHE TU SIA, IN QUANTO SONO DUE SOGGETTI DIFFERENTI: IO / TU ). PER CUI IL MINISTRO AVREBBE DOVUTO DIRE: SPERIAMO DI FARE …. (L’IDEA DEL FUTURO E’ IMPLICITA NEL VERBO SPERARE…) COME HA DETTO NEL COMMENTO PRECEDENTE GLORIA BARBERI

  18. Licia:

    @Elena Maria Buccini, non occorre URLARE! Sarebbe utile se portasse qualche fonte a conferma delle sue affermazioni che si tratta di un errore (e non di una scelta stilistica o di registro). Se fa qualche ricerca in fonti letterarie, vedrà che in testi dei secoli scorsi si trovano molti esempi come spero che io sia inteso da lei  e spero ch’io sia riputato degno di una cortese risposta. Aggiungo anche un esempio letterario contemporaneo con la prima persona plurale da Spavento di Domenico Starnone: Consuelo ha ironizzato: speriamo che siamo dalla parte della vita a colori.

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