Smartabile, neologismo ibrido ministeriale

tweet di Massimo Persotti: #burocratese evoluzione del linguaggio della nostra Pubblica Amministrazione, ecco i ‘figliocci’ dello #smartworking ... le procedure non “smartabili”. Segue schermata di articolo “Smart working e uffici pubblici, la stretta di Dadone” con esempio “espletamento delle pratiche e delle procedure non smartabili connesse alle attività economiche e strategiche”

Grazie al tweet di Massimo Persotti ho scoperto non solo l’esistenza del neologismo smartabile ma anche che è ricorrente nelle dichiarazioni di Fabiana Dadone, Ministro per la Pubblica Amministrazione, che lo usa in associazione ad attività, procedure, pratiche e mansioni

titolo: PA: Dadone, a regime lavoro agile per almeno metà delle attività smartabili

immagine di testo: Lo smart working verrà incrementato nella Pubblica Amministrazione. “Il lavoro agile, o smart working, si è rivelato uno strumento chiave nel periodo cruciale dell’emergenza sanitaria” e “a regime intendo incrementare il ricorso al lavoro agile non solo aumentando la percentuale minima del personale, che ricordo a norma vigente essere pari al 10%, ma soprattutto prevedendo che ciascuna amministrazione, individuate le attività smartabili, attivi la modalità agile ad almeno la metà di esse”. Lo ha annunciato il ministro della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone.

Smartabile, un aggettivo anomalo

Come ho già osservato in Lavorare da casa non è smart working!, in italiano è stato frainteso il significato dell’aggettivo inglese smart e gli è stata conferita una nuova accezione inesistente in inglese di [che avviene] online o telematico, da cui smart working e altri pseudoanglicismi come smart schooling e smart laureing. Molto diffusa anche la locuzione lavorare in modalità smart che in inglese si dice invece working from home (WFH) o più genericamente remote working.

Dadone usa smartabile con il significato di “eseguibile da remoto”, “effettuabile a distanza in modalità telematica”, e cioè interamente online senza che sia necessaria la propria presenza sul luogo di lavoro. Non è un calco perché in inglese non esiste alcun aggettivo *smartable con questa accezione.

L’aggettivo ministeriale smartabile è una neoformazione ibrida anomala perché il suffisso –abile è un suffisso aggettivale deverbale, usato quasi esclusivamente con verbi della prima coniugazione per esprimere la possibilità o la necessità di quanto predicato dal verbo, come ad es. applicabile, installabile, formattabile.

Non mi pare però che in italiano sia ancora in uso un verbo *smartare nel senso di rendere smart (nuova accezione!) e la parola che ne risulta è poco trasparente: potrebbe far pensare a una combinazione di smart e abile. Anche per questo il neologismo smartabile appare estremamente gergale.

Smartabile nelle comunicazioni istituzionali

È comprensibile che si ricorra a una parola gergale come smartabile in contesti specializzati, ad es. in ambito informatico e aziendale: si tratta di gruppi specifici di persone che si identificano anche grazie a un uso particolare della lingua e del lessico specialistico. Mi sembra invece del tutto fuori luogo in una comunicazione istituzionale potenzialmente rivolta a chiunque.

Schermata dalla pagina Facebook del Ministro per la Pubblica amministrazione: “Le attività smartabili continuano a essere svolte in modalità agile. Per tutte le altre attività la Pa garantisce il pieno sostegno, anche in presenza, con la riapertura di uffici e servizi che non possono essere resi da remoto”
immagine: Inail

Ritengo che in qualsiasi comunicazione ministeriale ci si dovrebbe attenere alla terminologia usata dal legislatore, senza ricorrere a formule alternative tra cui anglicismi, oltretutto usati impropriamente. In questo contesto, ad esempio, sarebbe preferibile il termine giuridico lavoro agile (cfr. legge 22 maggio 2017 n. 81) senza alternarlo a smart working, anche perché non per tutti è ovvio che si tratta dello stesso concetto.

In particolare, andrebbero evitati neologismi gergali malformati, di bassa circolazione e di cui non esiste una definizione, come smartabile. Ritengo che usarli per comunicazioni rivolte a tutti i cittadini sia mancanza di rispetto per gli interlocutori ma tradisca anche scarsa consapevolezza linguistica, che si manifesta nell’incapacità di attenersi alla terminologia ufficiale, di fare scelte adeguate per nuovi concetti e di riconoscere parole e termini inadatti al registro comunicativo istituzionale.

Purtroppo un uso attento della lingua non è priorità di politici e amministratori pubblici: basti pensare agli innumerevoli esempi di burocratese e all’uso di tecnicismi, anglicismi superflui e neologismi senza definizioni nelle comunicazioni durante la pandemia, come ad es. regola droplet, screenare, tamponare, on the road, drive-thru, FAQ, Recovery Fund, oppure all’uso di termini non facilmente distinguibili come sanificare, igienizzare, disinfettare, sanitizzare.     

Aggiornamento 18 giugno

In un’intervista al Corriere della Sera, Dadone ha commentato l’uso dell’aggettivo smartabile:

Domanda del giornalista: Adesso si dice «smartabili» per indicare le attività che possono essere fatte da fuori ufficio. Va di moda, ma non è una parola orrenda? Risposta di Dadone: «Non amo prendere posizione sul genere maschile o femminile di “ministro” e allo stesso modo non amo il dibattito sulle scelte lessicali di matrice italiana o inglese. Sono una persona pratica: chiamatela come vi pare, la sostanza non cambia. Abbiamo fatto un protocollo con l’accademia della Crusca sulla chiarezza del linguaggio amministrativo, lascio dirimere volentieri la questione a loro».

È sconsolante trovare una conferma così esplicita della scarsa consapevolezza linguistica di chi ci governa: qui addirittura passa il messaggio che le scelte lessicali non meritino alcuna riflessione, che il nome dato a un nuovo concetto sia irrilevante e che dell’appropriatezza di un termine se ne possano occupare altri, a posteriori, quando ormai si è già diffuso.

Eppure quando era stato Firmato un accordo tra L’Accademia della Crusca e il Ministro per la Pubblica amministrazione la ministra si era espressa sulla necessità di “chiarezza dell’esposizione da parte delle amministrazioni” e aveva dichiarato “Nell’oscurità della lingua può annidarsi semplice sciatteria, scarsa sensibilità professionale oppure l’idea distorta di un potere da preservare gelosamente, che significa spesso abuso o che comunque segnala un deficit di partecipazione democratica”.

Dispiace inoltre che il giornalista ne faccia una mera questione di estetica della parola e non consideri invece altri aspetti più rilevanti per la comunicazione pubblica, come adeguatezza denominativa e trasparenza.

in smart

Nell’articolo ho notato anche una locuzione che non avevo ancora incontrato, in smart (lavorare in smart, persone in smart, lavorare in smart), nata da un’abbreviazione impropria di smart working. È un meccanismo ricorrente nella formazione degli pseudoanglicismi che però spesso genera falsi amici. Qui smart è diventato un sostantivo, che in inglese esiste ma con tutt’altro significato: dolore acuto o bruciore, anche in senso figurato.


Vedi anche:
Elenco di anglicismi istituzionali 
Lavorare da casa non è smart working! 


Nota: ho usato ministro anziché ministra perché così appare nei profili ufficiali di Fabiana Dadone.

12 commenti su “Smartabile, neologismo ibrido ministeriale”

  1. Licia:

    @Enrico, grazie per il riferimento. Avrai notato che anche il linguista D’Achille condivide le mie perplessità.

    Come alternativa a smartabile, non mi convince un’eventuale risemantizzazione del verbo agilizzare da cui ricavare poi agilizzabile, perché non mi pare molto intuitivo (non credo che lavoro agile sia stata una scelta molto felice). Rifletterei invece su quali sono le caratteristiche distintive del concetto per il quale serve un nuovo aggettivo, che non descrive la modalità di lavoro ma caratterizza invece attività che sono eseguibili da remoto. A questo proposito, in un tweet avevo proposto remotizzabile, formato dal verbo remotizzare, già usato in contesti tecnici e trasparente perché il significato informatico di remoto è noto da tempo.

  2. Giovanni:

    Suggerisco decentrabile. Confidando che possa attecchire un’estensione di significato della parola decentramento.

  3. granmadue:

    L’interessante articolo linkato qui su da Enrico contiene un passaggio secondo me illuminante. Mi riferisco a una frase della Ministra della Funzione Pubblica Dadone che, essendo riportata tra virgolette, immagino possa essere considerata testuale. Dice: «chiamatela come vi pare, la sostanza non cambia».
    Fa impressione che a dimostrare un tale sprezzo per la scelta e l’uso delle parole sia proprio colei che ricopre la suddetta carica, e che dovrebbe essere la prima a rispettare la direttiva sulla semplificazione del linguaggio amministrativo promossa dal suo predecessore Sabino Cassese nel 1994, e successivamente aggiornata.
    Direttiva che, peraltro, fa bella mostra di sé proprio sul sito istituzionale del Ministero della P.A. Evidentemente all’insaputa della titolare.

  4. Giovanni:

    Mi sono imbattuto oggi in questo comunicato del gruppo incipit che ritengo conforti la mia impressione sul ruolo giocato dalla formazione universitaria https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/gruppo-incipit-presso-laccademia-della-crusca-termini-aziendali-inglesi-nelluniversita/6130
    Ecco un estratto: “…il gruppo Incipit invita a riflettere sul rischio che questa fitta terminologia aziendale anglicizzante venga applicata in maniera forzosa e sia esibita per trasmettere un’immagine pretestuosamente moderna dell’istituzione universitaria, lasciando credere agli utenti e agli operatori professionali che i termini tecnici inglesi siano privi di equivalenti nella lingua italiana, cosa che appare falsa.”

  5. Fabio Marri:

    Decentrabile è molto azzeccato! (come potrebbero esserlo Distanziabile o Distaccabile). E perché non “domiciliare”? Visto che in sostanza si tratta del banale ‘lavoro da casa’.
    Condivido le perplessità su “lavoro agile”: anzi, mi sembra una scelta disastrosa, al limite del comico: chissà chi è stato il Migliorini del nuovo millennio che l’ha escogitata.

  6. Paolo:

    Decentrabile non mi sembra adatto. Non è questione di decentramento, che può essere effettuato con la creazione di sedi decentrate, ma di telelavoro. Neppure agilizzabile, perché il concetto di agile è tutt’altro che legato al lavoro a distanza.
    Remotizzabile potrebbe andar bene, così come telepraticabile (meglio di teleffettuabile o telesvolgibile, a mio parere).

  7. Giovanni:

    Dobbiamo però intenderci se “smart working”, da cui l’infelice “smartabile”, sia usato in italiano come una seppur impropria riformulazione terminologica di “lavoro agile”. Se questo è il caso, e personalmente credo che lo sia, decentrabile potrebbe cogliere nel segno nel presupposto di considerare decentrare l’opposto di accentrare (nella sua accezione di raccogliere, riunire in un centro o in uno stesso luogo). Remotizzare non mi dispiace, anzi lo ritengo il miglior candidato, ma richiama l’utilizzo di strumenti tecnologici di collegamento da remoto che la definizione di legge (la n. 81 del 2017) considera eventuale, essenziale essendo solo lo svincolo da orario o luogo di lavoro.

  8. Fabio Cimino:

    Perdonatemi, ma qui ci sono delle proposte sbagliate,(telelavoro non è assimilabile a smart working) perché probabilmente non si è compreso il vero significato di Smart working.
    in italiano il significato di Smart Woking è “lavoro intelligente”,infatti l’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce ”una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
    Finchè non trovano un neologismo più appropriato ritengo che lavoro agile attualmente è quello più vicino al suo reale significato.

  9. Licia:

    @Fabio, grazie per la definizione del Politecnico di Milano. Temo però che ricalchi il concetto inglese di smart workinge, che non equivale a quello “italiano” (sono a tutti gli effetti falsi amici). C’è un problema simile per agile working e lavoro agile, che in inglese e in italiano identificano concetti diversi. Ne ho discusso in un altro post, Lavorare da casa non è smart working!, che include anche osservazioni su telelavoro, che per il legislatore è un concetto diverso dal lavoro che in questo periodo si svolge in remoto da casa.

    Mi rendo conto ora che mi erano sfuggiti gli altri commenti a questo post, e me ne scuso con chi li aveva aggiunti. Vedo che è stato citato il forum Cruscate e suggerisco cautela nel considerarlo una fonte affidabile. Concordo con Paolo che decentrabile sarebbe ambiguo perché fa pensare a lavoro in un’altra sede della stessa azienda o istituzione, e non a lavoro svolto da remoto per via telematica, indipendentemente dal luogo dove viene svolto.

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