50 anni di parole sulla Luna, in inglese

One small step…

“That’s one small step for man, one giant leap for mankind”

Un piccolo passo per un uomo,
un grande balzo per l’umanità

Tutti riconosciamo la traduzione e il senso delle parole pronunciate da Neil Armstrong il 20 luglio 1969 sulla Luna, una delle frasi più note della seconda metà del XX secolo eppure tuttora controversa nella formulazione.

Negli Stati Uniti non si è mai smesso di discutere se la citazione debba includere o meno l’articolo indeterminativo a davanti alla parola man, un aspetto grammaticale rilevante: un’unica parola di un unico fonema, /ə/, può infatti cambiare il significato da “per un singolo uomo” (a man, l’astronauta Armstrong) a “per l’uomo” (man, il genere umano).

A quanto pare Armstrong intendeva proprio dire a man ma in realtà non ha pronunciato l’articolo, come sottolinea anche lo Smithsonian National Air and Space Museum in “One Small Step for Man” or “a Man”?  

A 50 anni di distanza la citazione suggerisce anche un’osservazione lessicale di tipo diacronico: nell’inglese contemporaneo ora si evita la parola mankind, che esclude le donne, e si preferisce invece humankind, un aspetto politicamente corretto su cui ha ironizzato il vignettista conservatore Michael Ramirez

vignetta con Armstrong che scende sulla luna, voce fuori campo  che commeta: Man?? What about WOMAN?! or transgenders?! A leap? What about the handicapped? Mankind? Seriously? You insensitive misogynist?

Moonshot

La metafora del grande balzo (giant leap) si ritrova sottintesa anche nel senso figurato della parola moonshot, il lancio di un razzo verso la luna, ora metafora per un progetto estremamente ambizioso e innovativo. Esempio: The Cancer Moonshot initiative, un programma di ricerca contro il cancro lanciato dall’amministrazione Obama.

cancer moonshot

Altri dettagli in A New Meaning of ‘Moonshot’.

If we can put men on the moon…

C’è un riferimento alle missioni Apollo anche nella frase if we can put a man on the moon e sue varianti, seguita da why can’t we…? oppure surely we can…

È molto usata negli Stati Uniti, spesso dai politici, come termine di paragone per criticare un risultato mancato o che non è ancora stato ottenuto, ad es. per intoppi burocratici o altri impedimenti che invece dovrebbero essere superabili, specialmente se paragonati alle difficoltà di mandare l’uomo sulla luna. 

vignetta con i tre astronauti della missione Apollo 11 che dicono:   Apollo 11 inspired those most famous words that will be repeated forever: “if we can land a man on the moon, then why can’t we blah-blah-blah”
vignetta: Dave Granlund

Moonwalk

Un’altra parola riconducibile alle missioni sulla Luna è moonwalk, il passo di danza reso famoso da Michael Jackson. In varie forme e con altri nomi esisteva già da decenni; il nome moonwalk invece gli è stato associato nel 1969 e ha preso ispirazione dalle omonime passeggiate lunari degli astronauti.


Per concludere, una vignetta “bovina”:

vignetta intitolata Cow history: July 20, 1962. Mucche che guardano TV con allunaggio e mucca che salta sopra il LEM, voce fuori campo One small step for man; One giant leap for bovine

La mucca all’origine dell’espressione over the moon è la chiave per interpretare la vignetta: dettagli e altre spiritosaggini in tema in Il principe Harry NON è “sulla luna”.

4 commenti su “50 anni di parole sulla Luna, in inglese”

  1. Licia:

    @Stez mankind è uno degli esempi ricorrenti nelle linee guida contro il linguaggio sessista, cfr. ad es. Man, mankind or people? (Cambridge Dictionary). Se lo sia davvero o meno è anche una questione di sensibilità individuali ma, nel dubbio, meglio evitarlo, specialmente se non si è parlanti madrelingua. In tema, per l’italiano: Questioni di genere nel linguaggio amministrativo, con alcune osservazioni sul c.d. maschile inclusivo.

    Aggiungo una notizia che ho appena visto: No more ‘manholes’: Berkeley, California, removing all gendered language from city code. Anche il tombino viene rinominato, da manhole a maintenance hole, perché contiene la parola man (“A male-centric municipal code doesn’t reflect the reality of the city of Berkeley”).

  2. Piersilvio:

    Gentile Licia, mi perdoni quest’intervento al limite del grammarnazismo (se mi si passa il termine) ma vorrei contestare due punti del suo scritto.
    Comincio dal più importante.
    Scrive, come per altro la stragrande maggioranza dei commentatori dell’evento – se non tutti, che la frase di Armstrong è stata pronunciata il 20 luglio 1969. Il che è corretto, purché s’aggiunga l’avvertenza, come fa la Nasa qui (https://www.nasa.gov/mission_pages/apollo/apollo11.html), che in questo caso si fa riferimento al tempo EDT (Eastern Daylight Time) e non al tempo UTC (tempo coordinato universale). Qualcun altro (https://www.thisdayinaviation.com/20-july-1969-1056-p-m-edt/) per lo meno indica le due possibilità.
    Potrà sembrare una questione di lana caprina ma non penso sia così. Va da sé che sulla Terra sperimentiamo avvenimenti che avvengono in un giorno per Tizio e in un altro per Caio. Pensiamo ai telegiornali della sera di un qualunque 31 dicembre che ci propongono immagini di festeggiamenti di chi già si trova nel nuovo anno (australiani e giapponesi, per esempio). In quel preciso istante noi siamo in un mese, in un giorno e in un anno diversi da quelli in cui già si trovano australiani e giapponesi.
    Per le parole di Armstrong la questione è diversa perché lui si trovava, rappresentante del genere umano, su un altro corpo celeste. A quale orario e giorno terrestre (qui non si può discutere né dell’anno né del mese) bisogna far riferimento? A quelli degli australiani? Ai nostri? A quelli degli statunitensi?
    Secondo me bisogna fare riferimento a una convenzione che è quella del tempo coordinato universale. Da questo segue che Armstrong (e quindi l’uomo come specie) ha calcato per la prima volta un corpo celeste diverso dalla Terra il 21 luglio 1969.
    Come tutte le convenzioni l’Utc ha un’origine storica: deriva dal tempo medio di Greenwich il quale altro non era che l’espressione del fatto che sul finire dell’Ottocento fu deciso di definire il meridiano di Greenwich come meridiano fondamentale. Era il tempo in cui il padrone del mondo era l’imperialismo britannico.
    Sicuramente Trump e i suoi concittadini resteranno fermi alla data del 20 luglio ma non escludo che dalla fantasia malata di Capello pazzo possa uscire la proposta di sistemare la questione spostando il meridiano fondamentale a uno di quelli che attraversano gli Stati uniti.
    Infine il secondo punto.
    La femmina adulta della specie Bos taurus è la vacca. So benissimo che è diffusissima la dizione mucca; penso per i connotati negativi legati al vocabolo vacca. Ma questi connotati negativi li abbiamo attribuiti noi umani all’animale che rimane del tutto incolpevole. Al massimo potremmo riderci sopra ricordando cosa cantavano gli Elio e le storie tese: “Ditemi perché se la mucca fa mu il merlo non fa me” (Abitudinario).
    Un cordiale saluto.

  3. Licia:

    @Piersilvio, grazie per il contributo. Aggiungo alcune considerazioni su contesto, ambito e modalità d’uso di parole e di riferimenti.
    Data –  Sicuramente è una precisazione importante in un contesto storico o scientifico, non altrettanto rilevante se invece si descrive l’impatto dell’evento sulla lingua: a distanza di mezzo secolo non sono poche ore a fare la differenza!
    Animale – In Si dice o non si dice? Dipende c’è uno schema che evidenzia la multidimensionalità della lingua: a seconda della situazione, dell’interlocutore e delle finalità comunicative sono richieste varietà diverse che possono seguire regole diverse. In un contesto ludico e informale, come le filastrocche per bambini e le vignette, sarebbe fuori luogo usare la parola vacca, che invece è scelta d’obbligo in ambito zootecnico o veterinario.

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