#capitana, capitano e comandante

Due titoli del 27 giugno 2019 sulla vicenda della nave Sea Watch 3, diretta a Lampedusa con 42 migranti a bordo nonostante il divieto del governo italiano, e un’immagine diffusa dalla ONG Sea-Watch International:

1 “Ciao sono Carola”, il video appello della capitana di Sea Watch; 2 Sea Watch, la capitana: “Entro in acque italiane. Vte dei migranti vengono prima della politica”

È corretto descrivere Carola Rackete, la persona al comando della nave, come capitana? Si possono fare considerazioni diverse a seconda del punto di vista da cui si analizza la parola.

Punto di vista terminologico

Il ruolo di Carola Rackete è Kapitän in tedesco e captain in inglese, come nell’immagine e nei video girati sulla nave, in cui Rackete comunica in inglese.

Nella terminologia italiana della marina mercantile, invece, si chiama comandante chi è responsabile di una nave sotto il profilo tecnico, giuridico e disciplinare e ne dirige manovre e navigazione.

In questo specifico contesto capitano è quindi un falso amico. Ci suona però del tutto familiare grazie a traduzioni letterali e doppiaggio, e a personaggi di fantasia. Inoltre, capitano è una qualifica professionale e nella marina militare è un grado degli ufficiali superiori. 

Si può notare che nelle comunicazioni in italiano la ONG per cui opera Rackete usa sempre la denominazione corretta comandante, ad esempio in questo tweet che riprende una notizia che invece usa la traduzione letterale captaincapitana

tweet di Sea-Watch Italy: “Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo”. In 14 gg nessuna soluzione politica e giuridica è stata possibile, l’Europa ci ha abbandonati. La ns Comandante non ha scelta.

Chi ha competenze in materia si riferisce a Rackete esclusivamente come comandante, come ad es. l’ex ufficiale della marina Gregorio De Falco, che durante il naufragio della Costa Concordia era stato protagonista della telefonata con il comandante Schettino (nessuno lo ricorda come capitano Schettino, se non sarcasticamente). Altri dettagli in Parolacce, capitani, comandanti e falsi amici

Da un punto di vista terminologico (lessico specifico di un settore specializzato) è quindi improprio descrivere Carola Rackete come capitano. Una distinzione simile vale anche per l’aviazione commerciale: dettagli in captain ≠ capitano.

Punto di vista lessicale (e grammaticale)

Se si osserva invece l’uso non specialistico (lessico generico), c’è chi ha espresso dubbi sulla forma femminile capitana, domandandosi se sia una parola esistente o comunque corretta.

Dal punto di vista della grammatica italiana, la parola capitana è perfettamente formata come equivalente femminile di capitano (sconsigliabile invece l’alternativa capitanessa per possibili connotazioni negative). Può quindi essere usata con le stesse accezioni di capitano, ad es. in questo periodo sono numerosissime le occorrenze di capitana della nazionale femminile di calcio.

Sara Gama capitana della nazionale femminile di calcio

Le perplessità forse sono dovute alle discussioni sul genere dei nomi di professione. Negli ambiti militari, ad esempio, la forma femminile risulta inusuale: viene privilegiato il maschile perché indica il ruolo, indipendentemente dal sesso della persona che lo ricopre.

Altri dubbi su capitana forse sono dovuti a due accezioni specifiche del sostantivo femminile registrate nei dizionari: 

1 (scherz.) la moglie del capitano | donna che ha una posizione di comando  2 un tempo, nave che portava lo stendardo sotto il quale andavano le altre della stessa squadra (denominata oggi ammiraglia)

Forse chi ha fatto riferimento ai dizionari ne ha frainteso la funzione: non vanno considerate valide solo le accezioni registrate o, al contrario, se una parola non è [ancora] registrata, non significa che sia “sbagliata” o addirittura inesistente – cfr. Bufale linguistiche: l’approvazione dei neologismi.

Nei riferimenti a Carola Rackete il contesto risolve qualsiasi ambiguità: nel suo uso generico, non specialistico, la parola capitana è trasparente e non ci sono dubbi su cosa intenda chi la usa, quindi non può essere considerata “sbagliata”.

Punto di vista comunicativo

Nessun elemento lessicale è un’entità isolata: ciascuna parola può avere connotazioni, è usata in relazione ad altri concetti ed evoca associazioni e rimandi ad altre parole e altri concetti. Nelle analisi lessicali non ci si può quindi limitare agli aspetti semantici ma vanno considerati anche eventuali aspetti sociolinguistici e pragmatici

Sui social l’hashtag #capitana è stato a lungo tra le “tendenze” del giorno, ed è facile capire perché: con un’unica parola consente di opporre implicitamente la comandante della nave Sea Watch al ministro degli interni Matteo Salvini, chiamato capitano dai suoi seguaci.

Consente inoltre altri rimandi, anche metaforici, ad es. al film Capitani coraggiosi e alla poesia di Walt Whitman nota in italiano come O capitano! Mio capitano!, molto riconoscibile grazie al film L’attimo fuggente.

Bozza di stampa con correzioni autografe di Whitman per la ristesura del 1871
immagine: Wikimedia

In conclusione: descrivere Carola Rackete come capitana è improprio dal punto di vista terminologico (nelle notizie andrebbe evitato e sostituito da comandante), è corretto dal punto di vista grammaticale e sicuramente efficace dal punto di vista comunicativo sui social e in contesti non formali e non di cronaca.


Vedi anche:

Donne in marina, tra implicito e stereotipi
Sea-Watch 3, l’inesistente “yacht di piacere” 


16 commenti su “#capitana, capitano e comandante”

  1. chris:

    Capitano, e’ un grado militare, gradi usati spesso anche nel civile, e come tale rimane maschile. Aver imposto la Carta di Roma ai giornali ha creato dei mostri linguistici, usati per fini propagandistici, con risvolti comici.
    La Capitana sbarca a Lampedusa,regia di Massimo Tarantin, con Barbara Bouchet, Lino Banfi e Alvaro Vitali.

  2. Licia:

    @chris, forse prima di commentare bisognerebbe leggere l’intero post? 🙂

    @morgaine, grazie per il riferimento. Mi ha fatto piacere vedere che l’articolo abbia avuto molta visibilità nonostante sia un tema che per molti ha raggiunto ormai la saturazione.

    Come sai sono sempre stata molto scettica su come è stata impostata la narrazione sul sessismo linguistico, focalizzata ossessivamente e quasi esclusivamente su pochi nomi di professione e ideologizzata al punto che ha creato incomprensioni, rifiuto e ostilità (vedi esempio recente di una parlamentare di Fratelli d’Italia che ha intimato al presidente della Camera di non chiamarla deputata ma deputato, con motivazioni davvero ridicole, e anche il commento di Chris qui sopra).

    Ben vengano portiera e terzina, ma non mi sembra una grande conquista se poi se ne parla in modo completamente diverso dai loro colleghi uomini, con scelte lessicali comunque sessiste, come ad es. aggettivi e sostantivi che mai verrebbero usati per un uomo, e ribadendo i soliti stereotipi (ad es. moltissimi dettagli su aspetto fisico, vita sentimentale, stati emotivi ecc. od osservazioni come “non in cucina o in lavanderia” descritta in Donne in marina, tra implicito e stereotipi).

    È questo che condiziona davvero le percezioni e il ruolo della donna, non la –a alla fine di una parola: vorrei che l’attenzione si spostasse dal genere grammaticale al genere sociale (gli stereotipi e le aspettative di tipo sociale e culturale associati al ruolo dell’uomo e della donna). Se però dai un’occhiata ai profili delle linguiste più agguerrite sulle questioni di genere grammaticale, raramente troverai esempi che vadano oltre quella che è solo una manciata* di nomi di ruolo o professione, e posso anche capirlo: è una battaglia facile da portare avanti e con cui ottenere molta visibilità. Andrebbe però completamente rivista la narrazione e, per avere maggiore credibilità, bisognerebbe riflettere maggiormente anche su tutti gli altri aspetti del sessismo linguistico (cfr. anche Questioni di genere nel linguaggio amministrativo).


    * Purtroppo anche l’articolo che hai riportato parte dal presupposto che il femminile si usi solo per le professioni in cui la presenza delle donne è consolidata ma non per le nuove professioni. Già 5 anni fa in Donne e grammatica, analizzando i dati ISTAT sulle “professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione”, avevo dimostrato che non è così, e anche per questo penso che la questione sia gonfiata a dismisura. 

  3. chris:

    Riletto, e come detto prima, dissento dalle conclusioni. Capitana è improprio dal punto di vista terminologico e scorretto dal punto di vista grammaticale, anche se la teutonica avesse pilotato un panzer pieno di immigrati.

  4. Licia:

    @chris manca la spiegazione, documentata da fonti affidabili, per cui capitana sarebbe scorretto dal punto di vista grammaticale.

  5. chris:

    @Licia
    Fonti piu’ che affidabili, i decreti di nomina di tutti gli ufficiali dell’esercito italiano, i dizionari, a cui non si puo’ certo rimproverare di invertire l’onere della prova.

  6. Licia:

    @chris la distinzione tra tre diversi punti di vista – 1 terminologico, 2 lessicale (e grammaticale) e 3 comunicativo – non risulta sufficientemente chiara? 🤔

  7. chris:

    @Licia Ma e’ chiarissimo, un decreto che nomina un ufficiale donna capitana e’ nullo, in quanto c’e’ un errore nella definizione del grado. Piu’ semplice di cosi’.

  8. Licia:

    @chris, in questo contesto eventuali decreti sulla nomina di ufficiali (marina militare) non sono rilevanti perché il contesto è la marina mercantile. In ogni caso si tratterebbe di una scelta terminologica che nulla ha a che vedere con la grammaticalità della parola capitana che, come si può vedere anche dalla voce del Vocabolario Zingarelli, esiste da quasi 800 anni, seppure con accezioni diverse.
    Meglio affermare “la parola non mi piace” (preferenze personali). 🙂

  9. Flavia:

    Ho dato una scorsa alla Classificazione delle professioni Istat e da p. 375 ‘abate’ (escludendo ‘1° aviere capo’) a ‘zuccheriere’ p. 471, i nomi delle professioni sono in prevalenza al maschile; ciò non esclude che – colloquialmente – si possa parlare di una ‘abatessa’ e di una ‘zuccheriera’, ma il primo aviere capo rimane tale, al maschile e al femminile.
    @Licia: credo sia da rifare il link al sito dell’Istat, ché non si apre.

  10. chris:

    @Licia Ma le stesse norme valgono per la marina mercantile, Accademia compresa. La grammaticita’ della parola capitana, riferita ad una donna che ha un qualsiasi comando su un nave, e’ semplicemente errata, nessun riscontro nei documenti ufficiali, nella prassi,nel linguaggio marinaresco e nei manuali di nautica.

  11. Licia:

    @Flavia grazie per la segnalazione, ho aggiornato il link. Intanto preciso che le mie osservazioni non riguardavano qualsiasi professione ma solo quelle classificate come intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione. Ovviamente negli elenchi le professioni sono inserite in forma canonica, come nei dizionari, e cioè al maschile da cui si può ricavare facilmente il femminile (per chi non lo sa, quello di abate è badessa attraverso la forma ora obsoleta abadessa).

  12. Licia:

    @chris, è l’ultimo commento che approvo, ricordando ancora una volta che ciò che determina l’appropriatezza del sostantivo capitana è l’ambito d’uso (cfr. parole vs termini) e non la grammatica: come ho spiegato nel post, capitana è improprio in un contesto militare, dove ci si aspetta il termine capitano, o formale e di cronaca, dove è richiesto il termine comandante, ma è del tutto idoneo a un uso informale, come ad es. sui social, nelle vignette e in articoli non di cronaca. Suggerisco anche di fare lo sforzo di verificare cosa si intende con grammaticalità (non *grammaticità).

  13. Anna B.:

    Cara Licia,
    grazie del post. La contrapposizione tra “capitana” e “capitano” è stata ripresa anche dai media tedeschi. In tedesco Carola Rackete è “Kapitänin” della Sea-Watch, quindi con il suffisso “-in” che marca il femminile dei nomi di professione. Qui un esempio dal sito della radiotelevisione pubblica tedesca:
    https://www.tagesschau.de/ausland/sea-watch-175.html

  14. Giovanni D’urzo:

    Nella marineria Mercantile internazionale il termine capitano sta a indicare un titolo professionale come Capitano di lungo corso o Capitano di macchine titoli non sufficiente per svolgere il Comandante o il Direttore di Macchina.
    Il comandante della nave nella marineria internazionali ed in tutti i manuali e legislazioni internazionali e identificato con il termine
    ” MASTER “

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