Gioia Guerzoni: “Blackness matters”

Mi fa molto piacere ospitare un guest post di Gioia Guerzoni, traduttrice dall’inglese di autori di geografie e di epoche diverse come Teju Cole, Iris Murdoch, Ben Marcus e molti altri.

copertina del libro Known and Strange Things di Teju ColeRecentemente l’ho sentita discutere del concetto di blackness, centrale in una raccolta di saggi dello scrittore americano di origini nigeriane Teju Cole, e delle difficoltà che aveva dovuto affrontare per trovare una soluzione che fosse efficace anche in italiano. 

Le ho chiesto di raccontare le sue riflessioni anche qui perché è un percorso affascinante che mette in evidenza più aspetti della traduzione letteraria: non solo questioni linguistiche e metodologiche ma anche il rapporto con revisori e autori.

La traduzione letteraria e la terminologia sono due mondi apparentemente distanti ma che in realtà hanno vari punti di contatto: in entrambi è fondamentale l’analisi dei concetti e dei segni che li rappresentano (parole e termini) per individuarne le caratteristiche distintive. Nessuna parola ha un’esistenza a sé ma vive in relazione ad altre parole che evoca e richiama, in un intreccio di aspetti stilistici, diacronici, fonosimbolici ed “enciclopedici” che possono conferire ulteriori connotazioni. È una sfida che il traduttore creativo non ha paura di raccogliere: sono sicura che apprezzerete la soluzione trovata da Gioia.

Un grosso grazie a Gioia e a tutti buona lettura!

Blackness is

Blackness matters
di Gioia Guerzoni

Quest’anno, mentre traducevo Known and Strange Things di Teju Cole per Contrasto, continuavo a incespicare su una parola potente e sonora che in inglese è conosciuta da tutti, blackness.  

Incespicavo letteralmente perché come tutte quelle parole che ti costringono a forzi superiori alla norma – quando la norma è quasi un esercizio ginnico, un continuo dribblare di decisioni, di tenere, lasciare, aggirare, schivare, smorzare, trovare un sinonimo, alzare il registro, abbassare, spiegare, lasciare il mistero, pensare ad altro, desistere, lavare i piatti, riprendere, studiare dizionari, farsi un giro ecc. – qui mi fermavo e poi riprendevo a fare tutte quelle capriole nella testa.

Cos’è la blackness per un giovane scrittore nero americano nel 2018? Cole la usa per descrivere l’orgoglio nero, la vita dei neri americani, ma anche il colore di una pantera che lo affascinava da piccolo, o di un supereroe contemporaneo. Queste erano le domande che mi facevo per tentare di imboccare la via giusta e trovare la parola perfetta (o almeno, perfetta in quel momento), in una specie di caccia al tesoro che mi piace sempre nel lavoro di traduzione.

Ma vediamo l’inglese. Prendendo in considerazione solo un dizionario, l’Oxford English Dictionary, cosa scopro di blackness?

(ˈblæknɪs)
[f. black a. + -ness.]

a) The quality or state of being black.

La prima datazione etimologica secondo l’OED è del 1340 poi nel 1382 con Wyclif Nahum ii 10 The face of alle as blacnesse of a pott. Nel 1611 c’è la bibbia, Giuda 13 The blacknesse of darkenesse.

b) (Often with capital initial.) The quality of being Black (sense 1 c); spec. the racial self-consciousness of (U.S.) Blacks, considered as a matter of pride.

La qualità o la condizione dell’essere nero + la consapevolezza razziale + l’orgoglio. E sono già parecchie cose per una parola sola.

Oltre che ovviamente il semplice colore.

Poi ho letto Where Does “Blackness” and “Whiteness” Come From? Tantissime cose.

Cosa troviamo in italiano?

In tantissimi casi proprio blackness, non tradotto, in inglese. Che in effetti non mi dispiaceva all’inizio ma poi in certi testi proprio non stava bene. Come mi capita con altre parole come empower, o entitlement e molte altre, mi prende quel senso di sfida, il desiderio di non arrendermi, di voler trovare la strada in questa esplorazione perenne, e insomma, ci penso di continuo (ovviamente mentre continuo a tradurre.)

Nel 1961 Langston Hughes, il magnifico poeta nero, scrittore e sceneggiatore e attore apertamente gay e comunista, scrisse in Ask your Mama ‘They asked me right at Christmas if my blackness, would it rub off? I said, Ask your mama.’

Hughes non è stato tradotto se non parzialmente da Einaudi nel 1948, quindi questa è una mia traduzione. “Mi avevano chiesto, proprio a Natale se la mia blackness sarebbe andata via con il tempo. Risposi ‘Chiedi a tua madre.’” Lasciarlo in inglese era impossibile, mi sembrava una frase inguardabile.

Bene, studio i vocabolari italiani, e controllo negritudine e nerezza nella Treccani.

Leggo testi accademici e trovo spesso soggettività nera – direi che non ci siamo proprio.

Nessuno mi piace: negritudine è un calco dal francese, anni Cinquanta, contiene troppi strati di significato lontani, e blackness semplicemente non ci starebbe bene a casa. Nerezza, vetusto e con queste zeta che a me (perché sono io che traduco, che sento, e infine decido) fanno venire subito in mente bruttezza, monnezza, e non magari salvezza e bellezza. Sicuramente, significato a parte, non è un suono che mi dà un’idea di forza, di potere, di orgoglio.

Quindi decido di usare un neologismo e scelgo nerità. In effetti nerità mi piace.

La nerità della pantera. ok. La nerità del popolo afroamericano. ok.

All’inizio sembra strano poi comincio ad abituarmi (come mi era successo anni prima per resilienza). ‘Mi avevano chiesto, proprio a Natale se la mia nerità sarebbe andata via con il tempo.’

Niente male.

Per andare sul sicuro faccio un post su Facebook in cui chiedo semplicemente “Come tradurreste blackness in questo contesto?” Una valanga di risposte. Nessuno osa provare un neologismo, molti ripetono la stantia negritudine e poi in effetti capiscono che non ha senso, alcuni propongono di usare nero ma poi si bloccano quando c’è per esempio popolo subito dopo, certi dicono visto che c’è nerezza usiamolo, e da lì altre discussioni sul suono.

Provo a osare con nerità e molti (traduttori, scrittori, lettori) si entusiasmano. 

L’estraneo e il noto – Entusiasmi, incontri, letture, fotografie Il giorno dopo, lo propongo alla bravissima revisora di Contrasto, Valentina De Rossi (i revisori sono i nostri alter ego con gli occhiali più puliti e con la testa meno confusa dalle capriole ), lei mi da l’ok dopo aver sentito l’editore e decidiamo di mettere una nota di una riga giusto per spiegare la scelta e assicurare che no, non è un refuso, ma un semplice neologismo.

Scrivo all’autore, che ormai è un amico, ma viaggia 200 giorni l’anno. In genere vede tutte le mail, quindi per me (e gliel’ho detto) vale la teoria del silenzio assenso. A due giorni dalla stampa sono a casa sua a NYC e gli racconto tutta la faccenda della nerità e gli dico guarda visto che non rispondevi ho deciso di usare un neologismo e ciao. E lui ma è bellissimo, ma che meraviglia, lo citerò in tutte le interviste quando sono in Italia, così finisce nel vocabolario.

E così ci siamo bevuti una bottiglia di vino rosso per festeggiare. Poi è arrivata Karen sua moglie, che è indiana, e ha detto, bello sì ma come la mettiamo con brownness?

Eh. Poi pensiamo anche a quella. Intanto brindiamo alla nerità.


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Gioia Guerzoni ha 49 anni, vive a Milano, traduce narrativa da venticinque per vari editori - NN, Saggiatore, Einaudi, Feltrinelli, Codice, Contrasto ecc.. Le piace esplorare l’inglese di geografie e di epoche diverse – Teju Cole, Iris Murdoch, Saki, Siri Hustvedt, Paula Fox, Ben Marcus e altri. Come scusa per viaggiare mentre traduce, si inventa antologie, scrive articoli, collabora con case editrici e agenzie come scout, partecipa a vari festival letterari internazionali, e partecipa workshop su traduzione ed editoria, insegna online perché spesso non è a casa. Passatempi: camminare, guardare, ascoltare lingue che non capisce, fare foto con l'iPhone.

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8 commenti su “Gioia Guerzoni: “Blackness matters””

  1. Indomita Utopia:

    Per me “browness” si potrebbe tradurre “brunità” in italiano

  2. Licia:

    @Indomita Utopia va anche considerato che in inglese white (“bianchi”) sono le persone di origine Europea, black (“neri”) quelle di origine Africana e brown gli altri, ossia asiatici e sudamericani (inclusi i messicani), che però in italiano non chiamiamo “bruni”.

  3. Francesca:

    anche a me per prima cosa era venuto in mente “negritudine”, opi subito dopo “nigrizia”, che però ho visto ha tutt’altro significato
    per “browness” si potrebbe ritogliere la “o” a “oscurità” e dare nuovo significato a “scurità”

  4. Indomita Utopia:

    @Francesca, in italiano “scuro” si riferisce anche a grigi e blu nelle loro totalità scure, oltre ai marroni, perciò non mi pare adatto per definire il colore della pelle.
    @Licia, “brunità” richiama anche il colore dei capelli, insomma si riferisce ai colori dell’essere umano.

  5. Anna B.:

    Cara Licia, cara Gioia,
    grazie di questo post su un tema che mi appassiona. Prima o poi, pero di poter usare anch’io, “nerità” in qualche contesto. Bello che anche la revisora e l’editore abbiano osato il neologismo!

  6. Milena:

    Grazie per questo post, e per la meravigliosa spiegazione. A me “nerità” sembra anche una fusione tra nero e verità. Nerità, la verità nera (o dell’essere nero). Bello, no? Complimenti.

  7. Isabella:

    Onestamente neritá non mi piace. Avrei optato per “orgoglio nero” o simile, non sarebbe il primo termine che da L1 a L2 necessita di piú parole, qualsiasi sia la lingua di partenza e quella di arrivo.

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