Un cane vorace!

Da una notiziola con protagonista un cane di nome Alfredo:

Succede sempre verso l’ora di pranzo. Alfredo sente il profumo di cibo, si alza dalla cuccia, ed esce dal negozio dei suoi padroni, diretto verso il bar di Katia. Mentre la proprietaria della caffetteria serve i clienti, lui inizia a fare avanti e indietro davanti alla finestra che dà sul piano cucina. Non appena Katia si sporge, lui appoggia le zampe sul davanzale, e inizia a guardare con occhi dolci la barista. Dopo aver trangugiato prosciutti e altre prelibatezze offerte da Katia, Alfredo torna felice verso la sua cuccia.

Ma quanto mangia il cane Alfredo?

Il sostantivo plurale prosciutti associato al verbo trangugiare mi fa pensare a intere cosce di maiale anziché alle singole fette o agli avanzi che presumo siano dati ad Alfredo. Mi sarei aspettata prosciutto, al singolare.

Prendo spunto da questa notiziola in tipico stile “silly season” per ricordare alcune caratteristiche di molti nomi di alimenti.

Solo al singolare, con qualche eccezione

Nel loro uso generico, molti prodotti alimentari sono nomi di massa, concettualizzabil come una sostanza unica, priva di tratti individuali. Sono nomi difettivi perché mancano del plurale, o meglio, non sono numerabili: se intendiamo quello che mangiamo, compriamo o usiamo, pane, pasta, miele, farina, latte, olio, cioccolato e parole simili sono usate solo al singolare.

Il plurale è ammesso per indicare diverse varietà o sottotipi di quella che è percepita come un’unica categorie, ad es. i risi dell’Oltrepo del Pavese, i mieli del Trentino, i vini del Piemonte.

Tornando al cane Alfredo: se gli vengono offerti prosciutti, per me vuol dire che gli viene presentata una selezione di diversi tipi di prosciutto (Parma, San Daniele, Praga…) oppure che gli vengono date intere cosce, ma in questo caso l’accezione è diversa: prosciutto non è più l’alimento ma una parte del maiale.

4 commenti su “Un cane vorace!”

  1. Lele:

    @ Licia

    Scusa il commento completamente OT, ma…

    i risi dell’Oltrepo Pavese

    1) Sostanzialmente, non esistono. A differenza del miele in Trentino e del vino in Piemonte, il riso è una coltura quasi per nulla diffusa nell’Oltrepò Pavese (zona a sud del fiume), ma viene coltivato soprattutto in Lomellina, la parte nord-occidentale della provincia di Pavia, ai confini delle province di Alessandria, Vercelli e Novara, che è ricca di fontanili e risorgive che consentono l’allagamento delle risaie.

    2) Ricordo vagamente – forse sulla stampa locale – discussioni sulla grafia di Oltrepò. Mi sembra che si fosse concluso che la parola dovesse essere scritta con l’accento finale. Il fiume Po, in quanto monosillabo, non dà adito a equivoci relativamente alla pronuncia, ma se scriviamo Oltrepo, si rischia di sentir dire Oltrépo. 🙂

  2. Licia:

    @Lele, ho cambiato in Pavese eliminando Oltrepo, va bene? 😏
    (comunque avevo verificato quando ho scritto il post e sono ammesse entrambe le grafie)

  3. Mauro:

    @ Lele

    Mia mamma viene dall’Oltrepo Pavese e in famiglia nessuno lo ha mai scritto con l’accento, anche se so che è ammesso.

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