Italiano e cinema: traduzione e adattamento

immagine promozionale di Radio3

Come sapete già da Giornata ProGrammatica: #italianoalcinema, la programmazione di oggi a Rai Radio3 è dedicata a L’italiano al cinema, l’italiano nel cinema. Agli esempi di doppiaggese che ho già fatto aggiungo qualche altro riferimento linguistico dall’archivio del blog.

In inglese: film, movie e flick

In inglese la differenza tra film e movie non è solo geografica (inglese britannico vs americano) ma può indicare anche se si tratta di una produzione artistica o commerciale.

La parola familiare e un po’ datata flick è stata invece riciclata per denominare un particolare tipo di film romantico, chick flick, ed è riconoscibile anche nel nome Netflix, con variante grafica che trasforma flicks in flix per il servizio di distribuzione “in rete” di film on demand.

C’è anche la parola italiana pellicola (traduzione letterale di film), molto comune un tempo e ora usata quasi esclusivamente in contesti culturali o dai giornalisti alla ricerca di sinonimi.

Anglicismi per il cinema

Ormai sono innumerevoli gli anglicismi usati per descrivere tecniche, generi cinematografici ed eventi legati al cinema. Alcuni sono decisamente superflui, come red carpet preferito a tappeto rosso

Per avvertire che si sta per rivelare dettagli cruciali di un film si parla di spoiler ma ci sono alternative!

Fantasy (genere cinematografico) evidenzia un meccanismo ricorrente: viene preferito l’anglicismo alla risemantizzazione della parola italiana corrispondente.

Più difficile invece pensare a un’alternativa per il tecnicismo reboot, il “riavvio” di una narrazione (con palesi riferimenti informatici), o per sequel, prequel, threequel, midquel (nuovo post).

Titoli di film

La traduzione dei titoli dei film è un argomento di cui si è sempre discusso molto. Liscio, gassato o doppio? Il titolo dei film stranieri (Portale Treccani), ad esempio, analizza le diverse strategie usate per il mercato italiano.

Ultimamente c’è la tendenza a mantenere il titolo originale, che per molti italiani è incomprensibile: quanti bambini e genitori sanno cosa vuol dire Inside Out?

Spesso la traduzione italiana fraintende o distorce il senso del film: un esempio tra i tanti è The eternal sunshine of spotless mind, verso del poeta settecentesco Alexander Pope tradotto in italiano con l’abominevole Se mi lasci ti cancello.

Altri esempi dall’archivio del blog:
♦  Revenant ≠ Redivivo 
♦  Distopia: Non lasciarmi [mai]
♦  Woody Allen, l’amore e il violino di Nerone 

Adattamenti di nomi e riferimenti

I nomi dei personaggi ora vengono raramente modificati ma fino a non molto tempo fa venivano invece tradotti, adattati o anche sostituiti: qualche esempio in Il tenente Colombo, Dart Fener e l’orso Yoghi e Più cattiva Maleficent o Malefica?

Qualche altro esempio di adattamento di espressioni idiomatiche o riferimenti culturali nelle versioni italiane di film americani o inglesi:

♦  Twitterpated (da Bambi)
♦  Minions: la localizzazione di Villain-Con 
♦  LA LA LAND: reduplicazione espressiva 
♦  Inside Out: emozioni, broccoli e localizzazione 
♦  Questioni di pane e di torte (Wallace & Gromit)

Per concludere, un esempio che non ha bisogno di adattamento: I Minion parlano minionese!

11 commenti su “Italiano e cinema: traduzione e adattamento”

  1. mario:

    Si usa anche ‘motion picture’. The Rocky Horror Show al cinema è diventato The Rocky Horror Picture Show.

  2. Isa:

    Sì, ma è quel tantinello datato: fa un po’ l’effetto che farebbe in italiano “cinematografo”, diciamo 🙂

  3. Mauro:

    @ Isa

    Sì, ma “cinematografo” in italiano indica il locale dove il “motion picture” viene trasmesso, non il “motion picture” stesso 😉

  4. zop:

    Tra le traduzioni dei titoli dei film poco ortodosse, sono proverbiali quelle di Truffaut (“Une belle fille comme moi“ diventa La mia droga si chiama Julie, “La sirène du Mississippi“ -> Mica scema la ragazza…).

    Invece mi chiedo il senso della distinzione semantica tra reboot e remake, che sono alla fine rifacimenti, dove la distinzione tra il rifacimento vero e proprio e il rifacimento con variazioni è così labile che mi domando se abbiamo bisogno di indicarlo con parole diverse e non includerlo tra le accezioni di una sola. Se poi proprio si vuole… mi pare che “rilancio” sia più digeribile di “riavvio”.

  5. Licia:

    @zop remake e reboot però sono proprio due concetti diversi

    Il remake (di un singolo film o di un’intera serie televisiva) è una nuova versione della stessa storia, fatta magari cambiando ambientazione o epoca ma senza variazioni eclatanti a trama e personaggi principali.

    Il reboot invece fa sempre riferimento a serie (televisive o di film) e indica l’introduzione di elementi completamente nuovi che interrompono la continuità con gli episodi precedenti. Daniele A. Gewurz in un commento qui nel blog l’aveva descritto molto efficacemente: “Nell’ambito della narrativa seriale, soprattutto cinematografica, televisiva e fumettistica, un reboot è un film o un episodio con cui si “riavvia” da capo la storia dei personaggi o comunque un arco narrativo importante, in genere ignorando di proposito una parte di quello che era già stato raccontato. Per esempio, il film “Batman Returns” ri-racconta le origini del personaggio di Batman, “riavviandone” la storia indipendentemente dai film precedenti, di Tim Burton e altri. Analogamente fa “Casino Royale” per James Bond, e così via”.

    Un rilancio invece fa pensare a una campagna pubblicitaria, ad es. se si ripropone la programmazione di un film uscito precedentemente.

  6. mario:

    Concordo che sia poco usata l’espressione picture. Aggiungo che il premio Oscar viene assegnato dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences. E il miglior film ancora viene premiato con l’Academy Award for Best Picture (nome ufficiale del premio).

  7. zop:

    Continuo a non cogliere l’importanza e la necessità della disitinzione basata sulla maggiore o minore fedeltà del rifacimento al modello di partenza.

    In ogni caso mi rendo conto che a Hollywood – dove da anni non sanno quasi più fare altro che rifacimenti di film precedenti o di fumetti, e dove gli investimenti si sono infatti spostati dal cinema sulle serie televisive – magari sia importante coniare nuovi termini per descrivere l’ampia gamma di rifacimenti in dettagli sempre più particolareggiati. Forse io guardo maggiormente all’italiano e sono poco interessato all’inglese.

    “Ri-facimento” nella nostra lingua non implica l’aderenza o la variazione rispetto alla prima copia, e si può usare in entrambi i casi correttamente e senza infrangere alcuna accezione storica.

    “Riavvio” nelle sue accezioni da vocabolario è collegato perlopiù all’automatismo (motore, computer…) che porta sempre alla stessa cosa, non ha in sé questo elemento di novità che dovrebbe designare.

    “Rilancio”, che come riavvio ha un’analoga accezione informatica riferita ai programmi (visto che si parte dal reboot inizale informatico), in tutte le altre accezioni mi pare includere maggiormente la possibilità di biforcazioni narrative e variazioni, perché significa:
    – lanciare di nuovo in una direzione DIVERSA o OPPOSTA;
    – rivitalizzare e rendere di nuovo attuale;
    – lanciare di nuovo attraverso un aumento (nel poker e nelle aste);
    – e in senso figurato avanzare NUOVE proposte.

    Ma è solo il mio punto di vista. Un saluto.

  8. Licia:

    @zop, ci sarebbero anche spin-off e revival! 😀

    Ho trovato uno schema utile in Lexique du jargon d’Hollywood (Le Figaro). Nell’originale è interattivo: appare una descrizione per ogni casella facendoci clic sopra.

    lexique du jargon Hollywood

    Revival si usa quasi esclusivamente con le serie televisive e descrive una serie che viene ricominciata a distanza di anni, riprendendo la storia con gli stessi personaggi interpretati dagli stessi attori.

    Visto che stanno arrivando qui per la prima volta molti lettori grazie ai tweet di #GiornataProGrammatica (benvenuti!), approfitto della schema per mettere in evidenza alcuni aspetti del lavoro terminologico multilingue. Viene privilegiato un approccio onomasiologico: i termini della lingua1 (o meglio, i concetti che rappresentano) vengono analizzati all’interno del loro sistema concettuale e le scelte nella lingua2 sono basate sulle caratteristiche essenziali e distintive di ciascun concetto, se possibile senza farsi influenzare troppo dalle parole usate nella lingua1 (“i termini non si traducono”!). Per saperne di più: Brainstorming e formazione dei termini in L2.

  9. Mauro:

    @ Licia

    Isa non intendeva la parola ma il registro e aspetti diacronici

    Me ne sono reso conto dopo aver premuto invio. Cenere sul mio capo 😀

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