Shopper a Milano e a Roma (e altri anglicismi)

A cosa vi fa pensare l’anglicismo shopper? È maschile o femminile?

tipi di shopper

A quanto pare il tipo di borsa che in italiano viene chiamato shopper (dall’inglese shopper bag) varia a seconda di dove si vive.

Per i dizionari lo shopper è il sacchetto di carta o plastica con manici fornito ai clienti dei negozi per il trasporto della merce acquistata. A Milano invece la shopper può essere una borsa da donna in pelle o altri materiali dalla forma squadrata e due manici (l’accezione che mi è più familiare), oppure la tipica borsa di tela che si riceve in omaggio. A Roma invece shopper (genere?) dovrebbe essere la borsa per la spesa.

In entrambi i casi si tratta di pseudoanglicismi: in inglese infatti shopper è l’acquirente oppure la borsa per la spesa con rotelle usata dalle persone anziane. La borsa “milanese” è un’abbreviazione impropria di shopper bag.

L’italiano e le lingue degli altri

Ho scoperto queste differenze d’uso tra Milano e Roma in L’italiano e le lingue degli altri, volumetto di Claudio Giovanardi ed Elisa De Roberto in edicola in questi giorni.

Nei primi sei capitoli sono sintetizzati alcuni aspetti caratterizzanti dei prestiti, con molti esempi e varie curiosità. Vengono descritti aspetti diacronici, motivazioni che spingono a preferire gli anglicismi (eufemismi sociali, effetto nobilitante ma anche pigrizia e incuria), calchi sintattici, parole vs termini, effetto sulla comunicazione pubblica e altro ancora. 

Nella seconda parte si trovano alcune indicazioni su bilinguismo e plurilinguismo: minoranze linguistiche italiane, italofonia nel mondo, nuovi italiani e bambini bilingui.

È un’introduzione ai forestierismi efficace e piacevole da leggere, utile per chi non ha già conoscenze specifiche ma è interessato alle riflessioni sull’uso della lingua. Ne consiglierei la lettura a tutti i funzionari dei ministeri responsabili dell’impennata di anglicismi istituzionali!

Ho notato però un paio di imprecisioni. L’espressione lavoro agile, ad esempio, viene descritta come “perfettamente equivalente” di smart working ma non tiene conto che in inglese esiste anche il concetto di agile working che è diverso da smart working, cfr. Il lavoro agile italiano.

Mouse e traduzioni

Nel paragrafo dedicato a mouse si legge “mentre l’italiano ha accettato l’anglicismo, il francese e lo spagnolo hanno tradotto senza problemi, rispettivamente con souris e ratón. Perché l’italiano non ha fatto lo stesso proponendo topo o topolino? Non sarebbe stato, del resto, il primo caso di un uso metaforico di un nome d’animale. Si pensi a cimice per ‘microfono nascosto’ e a giraffa per ‘microfono sorretto da una lunga asta’”.

Non viene però considerato un dettaglio rilevante: nell’ambito informatico italiano raramente sono state recepite metafore riconducibili a esseri viventi, cfr. Software e antropomorfismo e Metafore e terminologia informatica, e quindi mouse è una scelta coerente.

Inoltre, se si considera il numero dei parlanti si può facilmente dimostrare che nelle lingue neolatine prevale il prestito mouse. Dei circa 480 milioni di parlanti nativi di spagnolo, solo i 47 milioni che vivono in Spagna usano ratón, mentre in tutti i paesi dell’America latina si dice mouse (prestito facilitato dall’enorme riconoscibilità del nome Mickey Mouse, non tradotto in spagnolo). Nella varietà di portoghese parlata in Brasile (circa 200 milioni di persone) si dice mouse, mentre è rato in Portogallo (circa 10 milioni di portoghesi). Se si includono i 60 milioni di italofoni, si può affermare che il prestito mouse è usato nelle lingue romanze parlate da circa 700 milioni di persone.

il primo  mouseInoltre, il nome inglese mouse non era motivato e quindi non era necessario attenersi all’originale. Ne approfitto per ricordare che andrebbe evitata la tentazione di “tradurre” gli anglicismi e privilegiata invece la ricerca di equivalenti italiani che tengano conto delle caratteristiche essenziali e distintive e altri aspetti del concetto, come già descritto in La doggy bag non è per il cane!.


Aggiornamento gennaio 2018 – Con l’introduzione dell’obbligo di sacchetti biodegradabili (compostabili) per l’ortofrutta, i media hanno fatto un uso insistente della parola shopper. La mia impressione che si tratti di un termine settoriale usato raramente dai consumatori è confermata dalla carta di ALIQUOT, un progetto che raccoglie i geosinonimi più comuni direttamente dai parlanti:

Risposte più comuni: sacchetto, sporta, borsa, busta
(fare clic sull’immagine per una versione interattiva)

Nei media molto diffuso anche il doppio pseudoanglicismo bioshopper, che ignora che in inglese il prefisso bio- non c’entra con i prodotti non trattati chimicamente ma rimanda alla vita o alla biologia, cfr. È biologico, non organico!

Vedi anche: L’invasione degli anglicismi 
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2 commenti su “Shopper a Milano e a Roma (e altri anglicismi)”

  1. Silvio Sosio:

    Spinto dalla curiosità ho fatto una ricerchina, il classico sacchetto in inglese di solito si chiama, ovviamente, plastic bag, mentre il “bioshopper” viene definito “compostable bag” o “biodegradable bag”, anche se c’è qualche lieve differenza tecnica tra le due cose. Mi pare di capire che termini analoghi siano usati anche in altre lingue.

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