Migranti: cos’è un hotspot?

[2016] Sintesi del post per chi arriva qui cercando il significato di hotspot:

Nel contesto specifico dei flussi migratori verso l’Unione europea, in inglese il termine hotspot ha due diverse accezioni. Definizioni da IATE, il database terminologico delle istituzioni dell’Unione europea:

  1. punto di primissimo smistamento allestito in prossimità dei luoghi di sbarco degli Stati di frontiera, in cui gli agenti della locale polizia di frontiera insieme a esperti e tecnici dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, di Frontex ed Europol assicurano una rapida identificazione e registrazione dei migranti in arrivo nonché il prelievo delle impronte digitali con l’obiettivo di distinguere quelli che hanno bisogno di protezione internazionale da quelli che non ne hanno bisogno.
  2. zona alla frontiera esterna dell’UE interessata da pressione migratoria sproporzionata.

Nelle comunicazioni dell’UE in italiano entrambe le accezioni sono rese con la locuzione punto di crisi. Politici e media italiani preferiscono invece l’anglicismo hotspot, spesso usato a sproposito e senza distinguere tra i due diversi significati. 

Si nota infatti una grande confusione terminologica, come evidenziato nella descrizione dell’uso di hotspot nei media nel 2015 che si può leggere nel post originale (qui sotto).

hotspots in Italy and Greece as of 12 January 2016 – European Commission


Migranti: cos’è un hotspot?

[ottobre 2015] In italiano l’anglicismo hotspot fa immediatamente pensare ai punti di accesso a Internet con Wi-Fi, ma è usato anche in alcuni ambiti specialistici, ad es. in ecologia per descrivere un’area caratterizzata da grande biodiversità e in informatica per indicare la parte di un oggetto che contiene un collegamento ipertestuale.

Avrete notato che ultimamente hotspot ricorre anche nelle notizie sulla crisi dei migranti.

esempi di titoli sugli hotspot (migrazione)

Hotspot descrive un nuovo concetto presentato nell’Agenda europea sulla migrazione (maggio 2015) e sul quale c’è ancora parecchia confusione, anche terminologica.

Ne abbiamo discusso il 2 ottobre al Festival di Internazionale perché, come fiscal compact e spending review, è un esempio di anglicismo che politici e media preferiscono al termine italiano che viene invece usato nelle comunicazioni dell’Unione europea.

Serena Di Benedetto della Commissione europea ha ricordato che la maggior parte della nuova terminologia dell’UE nasce in inglese, anche se non sempre in contesti dove operano madrelingua e con interferenze dal francese che possono condizionare le scelte anche verso le altre lingue. Per l’italiano si cerca comunque di privilegiare termini propri ed evitare se possibile i prestiti. A volte però intervengono elementi non previsti che condizionano l’affermazione di un termine.

Riporto alcuni riferimenti su hotspot perché penso possano essere utili per capire la complessità nel gestire e popolarizzare la terminologia istituzionale.

Un concetto poco chiaro

Il termine scelto per hotspot in italiano è punto di crisi. Cerchiamo innanzitutto di capire che concetto rappresenta, indipendentemente dalla lingua. Nell’Agenda e nel relativo Glossario, fatti e cifre (giugno 2015) non c’è una definizione: si parla genericamente di new concept in inglese e nuovo metodo in italiano.

L’indeterminatezza del concetto si ritrova nelle diverse interpretazioni date dai media italiani. Alcuni esempi che ho raccolto lo scorso giugno per il corso per giornalisti sulle parole della migrazione:

 hotspot vs punto di crisi 

Allora non era ancora disponibile la voce del database terminologico IATE, molto recente, che riporta una definizione più precisa: 

punto di crisi
«punto di primissimo smistamento allestito in prossimità dei luoghi di sbarco degli Stati di frontiera, in cui gli agenti della locale polizia di frontiera insieme a esperti e tecnici dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, di Frontex ed Europol assicurano una rapida identificazione e registrazione dei migranti in arrivo nonché il prelievo delle impronte digitali con l’obiettivo di distinguere, quelli che hanno bisogno di protezione internazionale da quelli che non ne hanno bisogno»

Se però si consulta una comunicazione della Commissione del 23 settembre 2015, disponibile solo in inglese, si legge A ‘hotspot’ is an area at the external border that is confronted with disproportionate migratory pressure. Examples are Sicily and Lampedusa in Italy or Lesbos and Kos in Greece. It is in these ‘hotspots’ where most migrants enter the Union. Secondo questa definizione, la Sicilia è un hotspot.

In questo caso hotspot è usato con l’accezione generica di “area o regione caratterizzata da un’attività intensa che desta preoccupazione” (cfr. Ebola hotspot, pollution hotspot, migration hotspot ecc.), che però è incongruente con il new concept descritto precedentemente.

La confusione aumenta quando più avanti nello stesso documento si trova setting up the hotspots (set up vuol dire allestire, predisporre, aprire), quindi hotspot = struttura, incompatibile con hotspot = area critica. In seguito si trova setting up of first reception centres at four hotspots namely, Pozzallo, Porto Empedocle, and Trapani in Sicily and the island of Lampedusa, di nuovo hotspot = area critica.

Non c’è da stupirsi che gli articoli apparsi nelle ultime settimane per spiegare cosa siano gli hotspot spesso diano interpretazioni tra loro contradittorie.

Aggiornamento 2016 – ora anche il databse terminologico IATE conferma che in contesto UE il termine hotspot è usato per due diversi concetti:  
1  centro di prima accoglienza (fonte: IATE) e
2  zona alla frontiera esterna dell’UE interessata da pressione migratoria sproporzionata Hotspot: first reception centre located on the EU's external border where migrants arriving in the EU are initially identified, registered and fingerprinted. […] Not to be confused with 'hotspot' in the sense of an area at the external border of the EU that is confronted with disproportionate migratory pressure.

In italiano, punto di crisi vs hotspot

È in questo contesto di indeterminatezza che va considerata la scelta di punto di crisi per l’italiano, probabilmente dettata dalla necessità di una soluzione generica che potesse resistere all’evoluzione o ai cambiamenti di significato di un concetto non ancora assestato.

Dubito però che la maggior parte dei media italiani e dei politici abbia preferito hospot per conferire una specificità che punto di crisi non ha. Più probabile invece che le notizie europee vengano tradotte dall’inglese senza verificare se esista già terminologia ufficiale e senza preoccuparsi troppo dell’uso corretto e univoco dei termini: in Italia manca una “cultura terminologica”.

Se poi il concetto è poco chiaro, l’anglicismo è una soluzione di comodo: è una parola estranea e poco trasparente che si può “ridefinire” caricandola solo del significato che serve. In questo caso però hotspot ha già un’accezione nota (→ Wi-Fi), come osserva Stefano Bartezzaghi, all’oscuro di punto di crisi, in "Hot spot",se l’Europa ci chiede i punti caldi.

Sono invece sorpresa che punto di crisi venga ignorato anche da un comunicato recente dell’Accademia della Crusca, Il gruppo Incipit: Chiamiamoli Centri di identificazione e non "hot spots" [sic], con considerazioni che fanno pensare a un’analisi non molto approfondita. Viene infatti evidenziata una presunta connotazione sessuale assente in inglese e non si considera che hotspot rappresenta in ogni caso un concetto subordinato a quello già esistente di identification centre, distinzione che va mantenuta anche in italiano.

In conclusione…

Post lunghissimo, che però spero abbia messo in evidenza le difficoltà del lavoro terminologico se il concetto non è definito adeguatamente.

Credo emerga anche la necessità per le istituzioni di prevedere o rafforzare meccanismi interni per individuare subito i concetti strategici e a forte impatto e per diffondere la denominazione ufficiale ai comunicatori prima che ricorrano a soluzioni alternative, come prestiti o calchi dall’inglese, e creino incongruenze. Ne ho discusso in Terminologia e comunicazione.


Vedi anche: Hotspot galleggianti, suggestioni e vascelli (maggio 2016)

11 commenti su “Migranti: cos’è un hotspot?”

  1. Massimo S.:

    Che ne dici di “centro di prima accoglienza” (eventualmente “migranti” o “per migranti”?

    Mi pare che nella lingua italiana questa locuzione si sia caratterizzata da tempo, con riferimento all’emergenza migranti, per indicare proprio quei luoghi dei paesi di transito dei migranti dove gli stessi ricevono una prima assistenza e vengono esaminati e identificati, almeno sommariamente, ove possibile…

    Inoltre tali centri, purtroppo, si sono anche connotati come “punti caldi”, in fatto o anche solo potenzialmente, per le criticità che vi si sono manifestate, dipendenti da un imprevisti o imprevedibili afflussi di gente per i quali non è stato predisposto un apparato consono e proporzionato, apparato che è stato così ‘sopraffatto’ da tali afflussi ed è andato in crisi, ovvero ha lavorato ‘al limite’ delle sue potenzialità.

    Insomma mi pare che “centro di prima accoglienza”, nonostante tutto, possa coprire quasi tutta l’area semantica di hotspot, se si pone mente al fatto che a tale locuzione , così come ad esempio a ‘pronto soccorso’ è anche sempre legata una certa idea di criticità in atto o potenziale, cioè l’idea che tali strutture devono tipicamente fronteggiare situazioni al limite, critiche, appunto, o comunque situazioni difficili.

    Inoltre, come pronto soccorso, centro di prima accoglienza ha in sé anche un’idea di provvisorietà… la permanenza al centro di prima accoglienza è solo provvisoria, come al pronto soccorso… si viene accolti e soccorsi in attesa di smistamenti e sistemazioni (o ricoveri) successivi…

  2. Mauro:

    Come abbiamo già discusso su Twitter… HotSpot è definizione ambigua. In Germania e Italia (ma probabilmente anche altrove) indica già un punto di accesso WiFi.

  3. Licia:

    @Paolo, sintesi efficace!

    @Massimo, grazie per il suggerimento. Credo però che vada evidenziato che la Commissione presenta hotspot come un nuovo concetto, quindi andrebbe scelto un termine che comunichi che si tratta di qualcosa di diverso da quello che esiste già (ed è per questo che non ritengo adatta la proposta del gruppo Incipit, centro di identificazione, perché non dà l’idea di novità). In italiano CPA (centro di prima accoglienza) è il nome delle strutture per i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento e usare lo stesso nome creerebbe confusione; inoltre, non mi pare che la caratteristica distintiva degli hotspot sia l’accoglienza ma la rapida identificazione e registrazione dei migranti.

    @Mauro, è anche l’osservazione fatta da Stefano Bartezzaghi e dal gruppo Incipit (Accademia della Crusca), che condivido. I prestiti di solito hanno valore monosemico perché vengono adottati con un unico significato, un “vantaggio” che prevale sulla scarsa trasparenza della parola estranea. In questo caso il vantaggio viene a meno perché hotspot corrisponde già a un altro concetto. Ho invece qualche perplessità sull’affermazione del gruppo Incipit che hot spot farebbe pensare a “locale alla moda” (forse in inglese, ma non in italiano) e soprattutto che richiamerebbe i vari impieghi italiani di “hot” in contesti ludici, sessuali e alimentari occultandone il reale significato, serio e drammatico per la vita delle persone che entreranno in questi Centri. “Hot spots” nella nuova accezione risulta offensivo, elusivo rispetto alla realtà, dunque politicamente scorretto. Nell’uso della Commissione europea, infatti, hotspot è scritto come un’unica parola, non due, e quindi prevale il riferimento a “punto di accesso WiFi”, che secondo me esclude ulteriori interpretazioni hot+spot e quindi le potenziali connotazioni sessuali o altro di hot.

  4. Massimo S.:

    Altre proposte :

    1. Posto di Pronto Riconoscimento (e Smistamento) Migranti:

    2. Ufficio di Prima Identificazione,Registrazione e Smistamento Migranti;

    3. Stazione di Primo Riconoscimento e Smistamento Migranti

    … e via variando.

    Mi sembra che la proposta 1., con i termini ‘posto’ e ‘pronto’ comunichi a sufficienza i compiti degli hotspot, la cui “novità” dovrebbe essere l’agilità e rapidità nell’attuazione dei suoi compiti, specificati questi dagli altri termini della locuzione.

  5. Licia:

    @Massimo, temo che la soluzione 1, con 55 caratteri spazi inclusi, sia troppo lunga e non regga il confronto con hotspot, 7, e punto di crisi, 14.

  6. Massimo S.:

    @Licia
    La mia proposta 1. si può abbreviare in Posto di Pronto Riconoscimento o in PPR (cioè tre soli caratteri! pron. PiPiErre, cioè non più di 8 caratteri!), e del resto non sottovaluterei i fraintendimenti circa Hotspot e la grandissima indeterminatezza di punto di crisi, il che potrebbe ben far preferire una locuzione più ‘lunga’ ma più pertinente e chiara.

    D’altra parte, la ‘brevità’ dei termini da te richiamati è solo illusoria, perché la loro opacità obbliga chi li utilizza a doverne spiegare il significato, con l’impiego di parafrasi e caratteri ulteriori, come si evince dagli esempi da te sopra riportati ” ‘hotspot’ cioè campi profughi” ” ‘hotspot’ di smistamento” ” ‘hotspot’ i centri di riconoscimento dei richiedenti asilo” da istituire in Italia…

  7. Matteo I.:

    D’accordo con le proposte di Massimo. “Centro di prima accoglienza” non la trovo una cattiva soluzione, però secondo me è importante che dal termine traspaia anche la funzione della struttura. Finché non saranno espressi chiaramente i compiti di un “hotspot” sarà difficile darne una definizione e, di riflesso, trovare un termine univoco…

  8. Massimo S.:

    Con tutte le cautele del caso, mi sembra di capire che il prof. Cortelazzo non avalla affatto l’utilizzo in italiano del forestierismo hot spot, ma piuttosto concorda, in attesa di migliori soluzioni, di tradurre il termine con “punto di crisi”, ancorché soluzione (della Commissione Europea) da lui giudicata “non felicissima”, dando atto della riflessione in corso (e non ancora approdata a risultati definitivi), ma da lui di certo non (ancora) sconfessata, circa l’inopportunità dell’utilizzo di hot spot stante alcuni possibili significati offensivi o politicamente scorretti, o un possibile uso del termine elusivo della concreta realtà che dovrebbe descrivere, come messi in luce dal Gruppo Incipit.

    Per questi motivi, mi pare davvero che una traduzione quale “Posto di Pronto Riconoscimento e Smistamento Migranti”, ‘abbreviabile’ nell’uso in Posto di Pronto Riconoscimento ovvero in PPR sia preferibile sia in quanto coerente con la lingua italiana (che, dobbiamo rassegnarci, è ben diversa dall’inglese), sia in quanto sufficientemente evocativa dei compiti effettivi degli hot spot (che servono in sostanza a garantire l’ordine pubblico dei paesi di transito mediante l’immediata identificazione e smistamento dei migranti giunti sul territorio verso le appropriate e predisposte destinazioni: asilo, ritorno al paese di origine, altre destinazioni).

    Per quanto riguarda il resto dell’articolo del prof. Cortelazzo, occorre essere consapevoli del fatto che nel campo economico come in quello delle istituzioni parlamentari abbiamo adottato istituti e soluzioni concepite nel mondo anglosassone e fatalmente indicate in origine da termini inglesi… peraltro Cortelazzo non dice, mi pare, che tali termini non vadano assolutamente tradotti e spiegati, ma che la traduzione va fatta in un italiano comprensibile, per evitare il paradosso (ché di paradosso e assurdità si tratta, anche per Cortelazzo) di spiegare una traduzione ancorché fatta male e poco comprensibile, ricorrendo al termine inglese che si voleva chiarire, come fanno alcuni siti istituzionali italiani.
    Nel caso di “question time”, tuttavia, da ‘profano’ non mi sento affatto di bocciare la traduzione che ne è stata fatta dal legislatore, “interrogazione a risposta immediata”, che giudico pertinente, chiara e non burocratica e persino dotata di un accattivante ritmo interno; boccio invece senz’altro il sito della Camera che per dare contezza dell’istituto ricorre al termine “question time” presupponendone una notorietà di significato da parte dei parlanti italiani che è tutta da dimostrare.

  9. Licia:

    @Massimo, sicuramente si possono fare molte proposte ma come sintetizza @Matteo, finché non saranno espressi chiaramente i compiti di un “hotspot” sarà difficile darne una definizione e, di riflesso, trovare un termine univoco… Essenziale inoltre che qualsiasi nuovo termine riesca a distinguere il nuovo concetto dai concetti già esistenti nello stesso sistema concettuale, quindi qualsiasi considerazione va fatta all’interno del sistema concettuale, confrontando le possibili nuove proposte con concetti e termini già esistenti.

    Ho trovato molto utile la precisazione di Cortelazzo segnalata da @Marco. Se fosse già stata disponibile, sicuramente l’avremmo citata quando abbiamo discusso di hotspot a In parole semplici

    Peccato invece che in un’intervista molto interessante a Claudio Marazzini, La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, siano state riportare letteralmente le parole del comunicato stampa senza altri dettagli (una curiosità: come anglicismo insostituibile Marazzini cita stent, che però non ci arriva direttamente dall’inglese. Si tratta infatti di un eponimo usato per la prima volta da un chirurgo plastico olandese: dettagli in Etimologia di stent e doppi eponimi).

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