La gravità degli errori

esempio di titolo: L’english di Renzi in Israele: «Il Devid bai Maichelangelo»

È di qualche giorno fa la notizia su Matteo Renzi che “sbaglia pronuncia” in un discorso in inglese perché dice “devid” e “maichelangelo” anziché “David” e “Michelangelo”. Eppure in inglese si dice /ˈdvɪd/ e la pronuncia /ˌmʌɪk(ə)lˈandʒələʊ/ prevale su /ˌmɪk(ə)ˈlandʒələʊ/ (cfr. Oxford Dictionaries), quindi non capisco perché se ne discuta: è come se in italiano ci si aspettasse /ˈkantəb(ə)ri/, con l’accento sulla prima sillaba come in inglese, anziché la più diffusa pronuncia italianizzata Canterbury

C’è errore ed errore

Archivierei la pronuncia renziana di Michelangelo come una non notizia, sintomatica però di un’idea di gravità degli errori alquanto diffusa e sulla quale ho parecchie perplessità.

Come già detto qui, qui e qui, mi pare che nella valutazione delle produzioni linguistiche si dia eccessiva importanza alla forma e a regole inderogabili (la norma!) e quindi rilevanza quasi esclusivamente a sbagli palesi che però non compromettono la comunicazione, come refusi ed errori di ortografia (o la maggior parte delle imprecisioni di Renzi in inglese, che non creano particolari difficoltà di comprensione agli interlocutori di madrelingua).

C’è anche chi propugna regole fantasma ancorate a una visione astratta e artificiale della lingua e che i più sprovveduti probabilmente considerano come reali suggerimenti di buona scrittura (un esempio visto recentemente asserisce che la preposizione tra seguita da un pronome personale richiede la preposizione di, quindi tra loro sarebbe un grave errore e tra di loro la forma corretta, ma è una “regola” smentita dall’uso).

Mi sembra che invece si presti attenzione insufficiente agli errori che distorcono la comunicazione, come l’uso inappropriato del lessico e dei registri, ambiguità, incongruenze, errori di traduzione e altri aspetti semantici e pragmatici, forse anche perché sono spesso estranei agli insegnamenti scolastici e quindi più difficili da rilevare e da descrivere.

Il mio punto di vista sulla grammatica

Ho ripensato alle diverse percezioni della gravità degli errori qualche giorno fa, quando mi sono ritrovata coinvolta in una discussione sugli errori di grammatica che ha preso una strana piega e mi sono stati attribuiti giudizi e atteggiamenti in cui non mi riconosco affatto. Il mio reale punto di vista si trova qui nel blog, in particolare nei post che ho riassunto qui sotto. 

Grammatica, variabilità e norme interiorizzate sottolinea l’importanza dello studio della grammatica senza integralismi, che non prescrive regole astratte ma descrive la lingua contemporanea nella sua variabilità e nei suoi fenomeni di ristrutturazione e ristandardizzazione.  

Sugli integralisti della grammatica riporta alcune analisi sull’atteggiamento purista, che pare possa essere dettato da ansie e timori di natura sociale e insicurezze di fondo.

Errori con gli accenti: colpa di computer e cellulari? e Internet ed errori di ortografia considerano alcune affermazioni superficiali ma diffuse sul legame tra scrittura digitale e presunto degrado dell’italiano. Formattazione, ortografia e *acquisizzione clienti evidenzia invece le conseguenze negative “pratiche” della scarsa attenzione all’ortografia.

La mia Giornata proGrammatica per Radio3 Rai racconta la mia esperienza di testimone di buona lingua sull’uso della punteggiatura.  

“Vorrei un consiglio per la tesi…”  ricorda che per comunicare in modo efficace è necessario avere consapevolezza dei diversi registri della lingua e delle loro diverse modalità d’uso (anche ricorrere a un registro aulico in un blog può essere un errore!). Telemarketing “estero” e pragmatica ribadisce che la perfetta padronanza della grammatica è solo uno degli aspetti della comunicazione verbale efficace.

Per approfondire il concetto di giusto e sbagliato nell’uso della lingua suggerisco due libri che ho apprezzato molto: Si dice o non si dice? Dipende di Silverio Novelli e Comunque anche Leopardi diceva le parolacce di Giuseppe Antonelli.

Concludo con una citazione dal prologo di The Sense of Style: The Thinking Person’s Guide to Writing in the 21st Century di Steven Pinker a proposito delle regole basate su un’immagine della lingua astratta e immutata nel tempo:

testo della citazione

(per sorridere, Refusi e legge di Muphry: “chi di errore ferisce, di errore perisce”!)

2 commenti su “La gravità degli errori”

  1. Massimo S.:

    “Amarcord”.

    Una volta alle scuole medie fui interrogato in italiano e mi fu dettata una frase da scrivere alla lavagna, di cui avrei dovuto fare l’analisi logica e grammaticale.

    Purtroppo commisi l’errore di scrivere scienzato (senza la “i”!)al posto del corretto “scienziato”; e quando il professore mi fece notare l’errore, un errore che allora, seconda metà del secolo scorso, non ci si sarebbe aspettato che capitasse alle scuole medie, rimasi costernato e compunto ad ascoltare il suo rimbrotto, con lo sguardo fisso nel vuoto, mentre tutta la classe si sbellicava dalle risate.

    Mi chiedevo come avessi potuto commettere tale errore, visto che quella parola l’avevo già letta numerose volte sui giornalini d’avventura e sugli stessi libri di scuola, ed ero arrabbiato e seccato io per primo con me stesso. Senza contare che mia madre era professoressa di scienze naturali alle scuole superiori e quindi scienza e scienziato erano davvero termini usuali nella mia famiglia.

    Come avrei spiegato a casa l’errore commesso?

    Il professore, accortosi del mio disagio, diceva a me e alla classe che l’errore andava considerato come tale ma aveva una sua logica, nel senso che era lecito, in fondo, supporre che da “scienza” potesse ben derivare scienzato, senza la “i”, ancorché si trattasse di una supposizione sbagliata, dal momento che in italiano da scienza (latino scientia) era invece derivato scienziato. E che c’erano errori che rivelano unicamente l’insipienza dell’errante, ed altri, invece, rivelatori di menti non del tutto ottenebrate.

    In realtà io non avevo fatto alcun ragionamento, ma semplicemente avevo commesso un errore di ortografia.

    Per anni alcuni compagni di scuola media, poi compagni di liceo e di università, mi hanno rinfacciato tale errore… che ricordo e rivivo sempre con grande disagio.

    E confesso che ancora oggi compulso periodicamente dizionari e vocabolari o grammatiche o navigo in internet nella speranza, finora vana, di trovare una giustificazione assolutoria al mio “scienzato” da ostentare ai miei implacabili ancorché scherzosi censori.

    Ciò nonostante, col “senno di oggi”, forse, avrei potuto replicare al professore e ai compagni di scuola che “scienzato non è un vero errore perché non pregiudica la comprensione del testo” (insomma, si capisce che si allude al profondo conoscitore e studioso di una o più branche del sapere umano…) o dir loro che anticipa, magari, una probabile o possibile futura evoluzione della lingua e del termine scienziato, destinato a perdere la ‘i’ e a modellarsi più strettamente sul termine ” scienza”. E che io, quindi, ero un precursore di questa “novità”. 😉

    Ma se il professore non avesse indicato chiaramente e nettamente come errore la grafia ‘scienzato’, in base allo stato della lingua italiana in quel dato tempo e in quel dato spazio, pur senza drammatizzare più di tanto l’errore in sé, a quest’ora, forse, io e i miei compagni di classe, al cospetto del termine suddetto, ci sentiremmo liberi di scriverlo anche secondo la grafia che a tutt’oggi, nonostante tutte le mie speranze, risulta errata.

    A questo proposito, voglio infine ricordare che questo professore d’italiano delle scuole medie era contrarissimo a quegli esercizi di grammatica consistenti nell’individuare frasi o parole errate in testi appositamente infarciti di tali errori: riteneva che le nostre giovani e inesperte menti avrebbero finito per fare una gran confusione e c’era il rischio che ricordassero come esatte parole e frasi sbagliate di cui prima dell’esercizio ignoravano persino l’esistenza.

    P.S.
    Da allora non mi è capitato più di scrivere scienzato al posto di scienziato…

  2. Licia:

    @Massimo, ti rimando al libro di Silverio Novelli, Si dice o non si dice? Dipende: gli errori di ortografia non sono consentiti nell’italiano a scuola. Andrebbe comunque considerato che quando si scrive in grande, sulla lavagna, è più facile fare errori perché manca la visione di insieme.

I commenti sono chiusi.