L’inglese mediocre degli italiani

Testo scritto da Matteo Renzi sul libro degli ospiti della Casa Bianca: “With all the friendship of ITALIAN people and ITALIAN goverment. Thank you for this opportunty to underline our strategic bond with United States”È stato dato parecchio rilievo alla n mancante dalla parola government nel testo scritto da Matteo Renzi sul libro degli ospiti della Casa Bianca, con titoli come “Renzi bocciato in inglese” o “Errore da matita rossa” e numerose condivisioni sui social media.

I censori si sono scandalizzati per una svista ortografica che non pregiudica la comprensione (riprova: non si sono accorti di opportunty al posto di opportunity), ma non hanno rilevato un errore più grave e ripetuto, la mancanza di tre articoli determinativi qui essenziali (esempio: of Italian people fa pensare a un numero vago di “persone italiane”, mentre “del popolo italiano” si dice of the Italian people).

Lingue straniere: forma e comunicazione

Questa reazione mi pare sintomatica di come si affrontano le lingue straniere in Italia: molta importanza alla forma e alle regole ben codificate, come quelle ortografiche, e poca attenzione all’aspetto comunicazionale

Ne ha discusso Perché gli italiani non parlano l’inglese?, con un confronto tra l’apprendimento dell’inglese in Danimarca, che vanta la migliore conoscenza dell’inglese in Europa, e in Italia, che invece si classifica ventesima su 24 paesi.

Metodi di insegnamento

L’articolo evidenzia metodi pedagogici diversi, che in Italia privilegiano l’insegnamento della grammatica a scapito della comunicazione orale. È anche la mia esperienza scolastica (solo grammatica e letteratura!), confermata da quella dei ragazzi che accompagnavo in vacanza studio in Inghilterra, ma è passato qualche anno e immagino che intanto i metodi di insegnamento e i contenuti siano stati aggiornati. 

Ho invece alcune perplessità sull’inglese alla scuola primaria (elementare) perché, da quanto ho potuto vedere, mi sembrano ore sprecate che non fanno imparare molto più di “the book is on the table”. Mi auguro che gli esempi negativi che mi sono stati mostrati siano l’eccezione, ma non c’è da stupirsi che i bambini imparino poco e male se ai loro insegnanti non è richiesta una conoscenza d’inglese superiore al livello di soglia B1.

In Italia: 100 ore di formazione bastano per poter insegnare inglese alla scuola elementare

Film in lingua originale

L’articolo evidenzia anche una nostra presunta ostilità culturale alla diversità che si concretizzerebbe, ad esempio, nel rifiuto categorico del 41% degli italiani di guardare film in lingua originale.

È un’argomentazione ricorrente: molti pensano che in Italia si parlerebbe meglio l’inglese (e altre lingue straniere) se film e programmi televisivi non venissero doppiati ma sottotitolati. Non ho dati concreti, ma la mia impressione è che l’apporto dei film in lingua originale sia sopravvalutato: l’ascolto può contribuire ad aumentare la comprensione (conoscenza passiva) ma non credo sia sufficiente per migliorare la produzione orale (conoscenza attiva). 

Inglese mediocre

Da anni ormai si può accedere facilmente a ogni tipo di testo, audio e video in altre lingue e non mancano le opportunità di parlare con stranieri, ma la conoscenza dell’inglese rimane mediocre. Ne sono prova i numerosi errori di traduzione, a partire dai media, le cantonate prese nel descrivere presunti errori o nel distinguere tra errori più o meno rilevanti, l’inglese farlocco e l’abuso di anglicismi, che è inversamente proporzionale all’effettiva padronanza dell’inglese.

Cosa ne pensate? Le nostre difficoltà con l’inglese sono davvero una questione di insegnamento, di pigrizia e/o di ostilità culturale, o intervengono anche altri fattori?
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Vedi anche:  Problemi di inglese per #labuonascuola.
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18 commenti su “L’inglese mediocre degli italiani”

  1. Franco Pancotto:

    Mi sono preso la briga di riscrivere in inglese corretto la nota rocambolesca di Renzi lasciata alla Casa Bianca:

    With all the friendship of the Italian people and of the Italian Government.

    Thank You for this opportunity to underline our strategic bond with The United States.

    Matteo Renzi

  2. Alesatoredivirgole:

    Licia, argomento molto interessante con diverse risposte possibili.

    Ritengo che il “nostro italico” inglese sia condizionato, in percentuali diverse, principalmente dal trio cultura-pigrizia-insegnamento.

    Alla base credo vi siano sicuramente limiti e “scorie” di tipo culturale (da Nord a Sud).

    Appena sopra la base metterei una buona dose di pigrizia (perché faticare quando ho tutto a disposizione nella mia lingua?).

    Sopra, al posto della ciliegina, metterei l’insegnamento (dalla materna alle Università).

    Premessa:
    La mia generazione non aveva internet ed il primo impatto con l’inglese lo aveva alle scuole medie (The book is on the table) mentre, col secondo impatto delle superiori, riprendeva tutto daccapo (Where is the book? The book is still on the table).

    Nonostante il libro fosse sempre sul tavolo e non ci fosse il web, molti della mia generazione l’inglese lo hanno imparato, con risultati molto diversi ovviamente, però lo hanno imparato.
    Questo dimostra forse che la differenza sia da cercare, ancora una volta, nella volontà del singolo.

    Non stupiamoci troppo se noi italiani fatichiamo con l’inglese, in fondo abbiamo enormi e gravi problemi anche con la lingua italiana (scritta e parlata) che studiamo fin dalla prima elementare e che utilizziamo ogni giorno …

    Inoltre, l’utilizzo dei tanti e sempre più diffusi correttori automatici (dal recente T9 al classico Word) non fa altro che sbiadire sempre più quelle regole che dovrebbero far parte del nostro “dizionario” personale.

    Escludendo coloro che hanno genitori madrelingua (es. padre italiano e madre inglese o altre combinazioni possibili), una seconda o terza lingua straniera la si apprende principalmente se:
    – hai la necessità di impararla;
    – hai la volontà di impararla;
    – hai la possibilità di utilizzarla nel quotidiano confrontandoti con altri.

    Oggi le cose sono molto cambiate, i bambini hanno l’opportunità di confrontarsi con l’inglese fin dalle elementari o addirittura prima.
    Il metodo non funziona? Allora cerchiamo buone soluzioni per migliorarlo.

    Riporto un paio di eventi che mi hanno stupito (il primo negativamente ed il secondo positivamente) cui ho assistito nel mio recente percorso di “studente-lavoratore-universitario” (tuttora in corso):

    1- Scienze della Comunicazione. Primo anno. Lezione in aula. Circa 150 studenti presenti. Domanda del docente: “voi sapete l’inglese, vero?”. Nessuna risposta, solo alcuni mugugni e sguardi goliardici. Il docente riprende: “alzi la mano chi se la cava con l’inglese” … due, tre, cinque mani alzate a stento, non di più …
    La cosa mi lascia perplesso e, augurandomi che non sia realmente così, resto in attesa del commento del docente: “ragazzi, l’inglese oggi è indispensabile, dovete studiarlo ed impararlo”.
    Stupito, osservo coloro che hanno alzato la mano: si guardano attorno quasi si sentissero “diversi”, come se il fatto di cavarsela bene con l’inglese sia una cosa di cui vergognarsi.
    Se questi sono gli effetti dell’inglese, qualcosa davvero non funziona.

    2- Scienze della Comunicazione. Secondo semestre, secondo anno. Presentazione del programma d’esame di Lettorato inglese B: con stupore apprendo che , a differenza degli anni scorsi, oltre alla prova scritta dovremo affrontare anche una prova orale aggiuntiva … Dopo un primo momento di sconforto (e adesso … ???), comprendo che si tratta di una grande opportunità per noi studenti; questa prova ci consente di mettere alla prova e migliorare le nostre abilità linguistiche e di ascolto.
    La direzione è quella giusta! Naturalmente il risultato finale dipenderà dalla volontà e dalle abilità del singolo.

    Nonostante tutto sono fiducioso, i ragazzi italiani sapranno (e dovranno) colmare la distanza dai loro coetanei provenienti dal resto del mondo, loro diretti concorrenti nel mercato globale del lavoro.

    La speranza è che lo facciano utilizzando un inglese all’altezza delle varie situazioni.
    L’augurio è che lo facciano con un inglese all’altezza almeno dei loro sogni.

    PS: è piuttosto difficile giustificare le tante figuracce (limitandoci a quelle con la lingua inglese …) dei “nostri rappresentanti” nel mondo, specialmente quando in Italia è richiesta spesso la conoscenza della lingua inglese anche per lavori molto, ma molto, ma molto meno nobili e molto, ma molto, ma molto meno pagati … quando vengono pagati …
    😉

  3. Kirsten:

    I danesi vedono tutto (film, tv etc.) in lingua originale con sottotitoli in danese.È sempre stato così e sono convinta che questo conferisce una maggiore sicurezza nel uso della lingua sin da piccoli.

  4. Luigi Muzii:

    Basterebbe parlasse un buon italiano, non come Moro o Spadolini, buono, come quello che ci si attenderebbe da un laureato in giurisprudenza nella città che ha dato i natali a Dante e ispirato Manzoni.

  5. Matteo:

    Cara Licia, dopo essermi complimentato per il meraviglioso blog, posso sfogarmi? Da insegnante di inglese (purtroppo non madrelingua) ti dico che a questo punto, per come è fatto, preferirei venisse eliminato l’insegnamento dell’inglese alle elementari. Con le prime medie si perde più tempo a recuperare chi lo ha fatto male, a correggere i vari errori di chi lo ha imparato peggio, e a cercare di non far morire di noia i pochi fortunati che hanno avuto bravi docenti e qualcosa sanno, che a ripartire da zero tutti insieme.

  6. fio:

    Licia, ti chiedo: ha senso la struttura stessa di ‘with all the friendship’?
    Al di là della mancanza degli articoli, a me pare che sia proprio la premessa del ‘con tutta l’amicizia’ a essere scorretta. Suona malino anche in italiano, ma in inglese secondo me proprio non funziona.

    Tu come l’avresti scritta?

  7. fafner:

    In attesa di più autorevole riscontro (queste solennità mi prendono), osserverei che with all my friendship è il luogo comune della dedica o del biglietto.

    Se l’idea vuole essere quella, e il tentativo di essere solenni, forse suonerebbe meglio with every sentiment of friendship from the Italian people. Sottolineare il legame strategico, invece, mi pare irrecuperabile.

    D’altra parte proprio ora Lucia Annunziata, che frequenta addirittura troppo i circoli di giornalismo americani, ci fa sapere che non appare così ora, ma diventerà chiaro, eventualmente. Così non sappiamo l’inglese, ma dimentichiamo l’italiano.

  8. Luca Celada:

    L’inglese di Renzi fa sicuramente sorridere. Eppure, pur concordando con le giuste osservazioni riportate quei sopra su tutto ciò che le sue maccheroniche approssimazioni focalizzano riguardo le serie e oggettive deficienze linguistiche nazionali, vorrei – da bilingue nativo e residente americano – sottolineare come queste rappresentino un problema italiano piu che “americano”. Paradossalmente cioè la via renziana alla sintassi inglese che antepone la foga espressiva all’ortodossia linguistica viene percepita con simpatia e anche ammirazione – come sottolinea ripetutamente lo stesso Obama quando parla della “energia” del premier. In una società multiculturale e multilinguistica come quella americana una maggiore “democrazia espressiva” concede precedenza all’intento sulla forma molto più facilmente che in quelle linguisticamente monolitiche in cui lingua e cultura sono impiegati come marcatori sociali. In una nazione con enormi minoranze linguistiche la cui consuetudine con l’inglese è marginale, si ammette una latitudine assai maggiore alle imperfezioni di lingua, concedendo un credito più automatico alla sostanza o almeno allo sforzo compiuto. Gli errori di “spelling” poi, una competenza con cui la maggior parte degli Americani si dibatte con scarso successo per tutta la vita, non saranno certo derisi in uno straniero – leader o meno.

  9. Emanuela:

    Licia, grazie per il post e per aver sollevato questo tema. Basandomi sulla mia esperienza, secondo me le causa principali delle scarse competenze degli italiani nelle lingue straniere sono due.

    La prima è la pessima preparazione di una parte rilevante degli insegnanti, soprattutto delle scuole elementari (concordo pienamente con Matteo). Cosa ci aspettiamo da insegnanti con una qualifica ottenuta con la frequentazione di un corso di 100 ore? Loro per primi non hanno un’esperienza sufficiente come discenti, figuriamoci come insegnanti.

    La seconda causa è lo scarso bisogno che fino a qualche tempo fa avevano gli italiani di parlare una lingua straniera. Pensiamo a chi ha l’inglese come lingua madre: non mi risulta siano statisticamente più poliglotti di noi. Possono parlare ovunque la loro ligua, quindi investono il loro tempo nell’apprendimento di cose più utili rispetto a una lingua straniera.

    Da questo punto di vista la cosiddetta fuga dei cervelli potrebbe rimediare alla nostra carenza linguistica, semplicemente perché non avremo più scelta.

  10. Isa:

    Avendo una reputazione da difendere, premetto energicamente che di Matteo Renzi detesto /tutto/, merito e metodo.
    Ciò detto, e da persona che con la propria conoscenza dell’inglese e dell’italiano si guadagna la pagnotta (senza aver avuto il vantaggio del bilinguismo nativo), concordo in tutto con Luca Celada.
    L’inglese di Matteo Renzi è all’incirca il meglio che riescono a produrre, insieme, una complessiva arretratezza culturale che si traduce in pigrizia individuale; un sistema scolastico che da un secolo abbondante mette tutta l’enfasi sulle lingue morte anziché su quelle vive e poi, quando decide di insegnare quelle vive precocemente, affida questo insegnamento in 97 casi su cento a parlanti non madrelingua e assai scarsamente formati (per essere misericordiosa); e un’industria audiovisiva che compra quasi tutto all’estero e lo doppia (tra l’altro, con adattamenti che perlopiù fanno accapponare la pelle). Perché se è vero che il solo guardare il cinema o la tivù in originale con i sottotitoli non può servire a dare padronanza della lingua, servirebbe però almeno a mettere nelle orecchie del pubblico il ritmo e la melodia della lingua straniera, giacché non è solo la sintassi inglese dell’italiano medio a fare pena, ma anche la pronuncia.
    Renzi, con i mezzi che ha, ci prova: pensa in italiano e si traduce in un inglese che ha imparato da italiani, e più in là di tanto non può arrivare. Però si fa capire, e a panni ribaltati Barack Obama non avrebbe saputo scrivere la medesima frase in un italiano comprensibile e “macchiato” solo da un paio di errori di ortografia.

  11. efano:

    Uscito dal liceo linguistico (più di 20 anni fa) ero benissimo in grado di affrontare una dotta conversazione sugli scrittori decadenti inglesi e il loro stile narrativo, ma non sapevo come rispondere a uno che ti dice “thank you”, come si diceva in inglese telefono cellulare e altre amenità quotidiane di questo tipo.
    Concordo sull’inutilità/dannosità nell’insegnamento dell’inglese alla scuola dell’infanzia e alle elementari, quando penso che ci sarebbe un potenziale molto maggiore. Ma i programmi stessi (i miei figli hanno libri pubblicati dalla Oxford University Press) mi lasciano perplesso. Ci si concentra su (pochi) vocaboli, per lo più secondari e i bambini non sanno costruire una frase. Come dicevo poco tempo fa, mio figlio riesce a dire “La scimmia è vicina alla cascata nella foresta”, ma se dovesse parlare con un coetaneo di qualcosa di reale, difficilmente riuscirebbe a tirare fuori qualcosa di sensato.

    ps. @Alesatoredivirgole, saremo mica stati compagni di corso a Comunicazione (a.a. 1993-94, il primo anno di comunicazione a Bologna)? Stefano Folli

  12. Alesatoredivirgole:

    @ efano: purtroppo no … nel ’94 compivo 25 anni ma avevo oltre otto anni di lavoro sulle spalle.
    Oggi, aprile 2015, sono iscritto presso UNIMORE (Università di Modena e Reggio Emilia) come studente lavoratore.
    Come dico spesso: da qualche anno ho iniziato il mio secondo tempo … e nonostante la fatica me lo voglio gustare, grazie anche a spazi meravigliosi come questo rigoglioso “giardino” in cui Licia mi consente di passeggiare.
    Chiudo per non andare ulteriormente off-topic … ops .. fuori-tema 😉

  13. Massimo S.:

    Probabilmente, come è stato già osservato, la scarsa conoscenza dell’inglese dipende dal fatto che non se ne avverte o non si ha la necessità di usarlo e comprenderlo.

    Persone di tutti i ceti sociali, che invece per studio o lavoro si son dovute recare all’estero o hanno avuto necessità di entrare in contatto con la lingua inglese e ne sono continuamente in contatto, hanno acquisito una discreta competenza.

    I miei amici e conoscenti che parlano oggi un inglese fluente e sono in grado di comprenderlo, pur partendo da basi scolastiche carenti, sono quelli che per studio o lavoro si son dovuti recare all’estero e/o lavorano in imprese multinazionali che richiedono necessariamente la comprensione dell’inglese per interagire coi colleghi, clienti e filiali sparsi per il mondo.

    Tale padronanza linguistica è stato il prodotto della continua immersione in un contesto di parlanti e scriventi in inglese e la conseguenza di una volontà e sforzo di apprendimento non fine a sé stesso ma indirizzato a scopi pratici di sopravvivenza lavorativa, il che ha motivato e stimolato anche i più refrattari tra di loro.

    Nel mondo dell’economia e degli affari, poi, la conoscenza dell’inglese è irrinunciabile, ed infatti politici e burocrati e banchieri come Prodi, Letta, Draghi, mi pare che parlino un inglese fluente.

    Un caso a parte è quello di Napolitano che pare abbia acquisito una buona competenza linguistica al tempo dell’occupazione angloamericana di Napoli, alla fine della II guerra mondiale, e pare sia riuscito a coltivarla e conservarla negli anni successivi, al punto di riuscire a conversare in inglese coi vari capi di stato senza bisogno di interpreti.

    Ad ogni modo anche una conoscenza meramente letteraria o scolastica dell’inglese è pur sempre meglio che nessuna conoscenza.

    Così ad esempio sul francese e tedesco io sono muto e cieco, ma grazie al poco di inglese studiato a scuola, per questa lingua non vivo nella totale oscurità e posso servirmi con una minima competenza di grammatiche e vocabolari per fare un po’ di luce, e anche per intendere meglio (o meno peggio) le discussioni di questo blog.

    Massimo S. BN

  14. Mauro:

    @ Kirsten

    Anche in Francia i film vanno in onda in originale coi sottotitoli… ma i francesi parlano comunque l’inglese peggio di noi italiani.

  15. Mauro:

    Comunque mi pare che in realtà si faccia una confusione tra quantità e qualità.

    Io sono cresciuto in Italia, ho fatto parte degli studi nei Paesi Bassi e da anni vivo in Germania.

    Bene vi posso garantire che la qualità dell’inglese parlato nei tre paesi è analoga.
    La differenza sta nella quantità della gente che lo parla. Maggiore nei Paesi Bassi, media in Germania, minore in Italia.

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