Completamento, compilazione e riempimento

Questa tabella confronta alcuni termini inglesi e italiani usati da due noti produttori di software e servizi online per le stesse funzionalità. Sono concetti molto comuni ma si notano varie differenze nelle designazioni (segni linguistici) che li rappresentano:

autocomplete, auto-complete, autofill, auto fill, auto-fill, autosuggest, completamento automatico, compilazione automatica, riempimento automatico, suggerimenti automatici

Avete riconosciuto tutti i concetti e identificato A e B?

Forse non sono tutti distinguibili, ma se seguite il blog avrete già capito quali sono le implicazioni per il lavoro terminologico e per la traduzione, che ora cercherò di sintetizzare.

Arbitrarietà del segno linguistico e approccio onomasiologico

Gli esempi che ho scelto ci ricordano che i segni linguistici sono convenzioni (cfr. il triangolo semiotico) e non sempre gli stessi concetti vengono “etichettati” allo stesso modo, neppure in contesti simili.

Anche per questo nel lavoro terminologico si preferisce l’approccio onomasiologico (si parte dal concetto per arrivare ai termini che lo designano) a quello semasiologico (si parte dalla denominazione per arrivare al significato o ai significati: è il metodo usato in dizionari e glossari).
 

Stessi concetti, nomi diversi

Le funzionalità elencate nella tabella hanno in comune l’automatizzazione di operazioni frequenti. Partendo dall’ultimo concetto:

5 – In un motore di ricerca, funzionalità che cerca di “prevedere” cosa si sta cercando mentre si digita una query e suggerisce risultati che ritiene probabili basandosi soprattutto su ricerche frequenti di altri utenti (dettagli in completamento automatico). 

4 – In applicazioni come fogli di calcolo, ad es. Excel, funzionalità che consente di riempire automaticamente un intervallo di celle con dati in base a criteri specificati dall’utente.

3 – In applicazioni come fogli di calcolo, ad es. il foglio di lavoro di Google Drive, funzionalità che propone un elenco di stringhe e funzioni per completare una formula man mano che la si scrive. 

2 – In un contesto di posta elettronica, funzionalità che riconosce e ripropone indirizzi già usati in precedenza in base alle prime lettere digitate. Anche i browser hanno una funzionalità simile per la barra degli indirizzi.

1 – Nei moduli visualizzati nei browser, ad es. Chrome, funzionalità  che memorizza i dati (nomi, numeri, codici ecc.) la prima volta che vengono inseriti da uno specifico utente e glieli ripropone automaticamente le volte successive.

La tabella mostra i termini scelti da Microsoft e Google in inglese e in italiano:

tabella 2

Se si analizza la terminologia di altri produttori di software, si notano altre differenze, anche ulteriori concetti per i quali sono proposti gli stessi termini (ad es. Apple chiama Autofill / riempimento automatico la funzionalità di iTunes per aggiungere contenuti su iPod, iPhone o iPad con brani selezionati casualmente dalla libreria).

Spesso gli utenti usano terminologia diversa da quella che appare nel prodotto (cfr. hashtag), ad es. in inglese molti chiamano 5  predictive text, usando un termine che invece è specifico dei dispositivi mobili e che inizialmente identificava solo funzionalità come il T9 (a determinate sequenze di tasti premuti in successione vengono associate le parole statisticamente più probabili, in inglese note come textonym), mentre ora viene usato anche per descrivere il completamento automatico delle parole e/o i suggerimenti che appaiono dopo aver digitato le prime lettere di una parola. In italiano coesistono i termini testo predittivo, immissione predittiva di testo (ad es. Samsung, Blackberry), completamento del testo ecc.
 

Attenzione ai glossari “esterni”!

Nel lavoro terminologico e nelle traduzioni specializzate spesso non è disponibile la terminologia specifica del progetto ma si usano glossari da altre fonti. In questi casi andrebbe sempre verificato che ci sia corrispondenza tra il sistema concettuale descritto nei glossari scelti come riferimento e quello su cui si sta lavorando, e che non ci siano incongruenze tra la terminologia già acquisita in precedenza e quella nei nuovi glossari.

Se nella lingua di arrivo sono disponibili più termini, vanno fatte le opportune valutazioni per scegliere quello più adatto per il posizionamento del prodotto ma coerente con il sistema concettuale su cui si sta lavorando (cfr. Analisi terminologica in il cloud e la cloud). Possono sembrare ovvietà, eppure mi è capitato di vedere discussioni in forum di traduttori in cui si cercano e vengono proposte “traduzioni” per singoli termini senza descrizioni del concetto da designare né riferimenti ai concetti coordinati e correlati.

Anche quando si importano glossari di terze parti nel proprio database terminologico va fatta particolare attenzione, perché altrimenti si rischia di creare incongruenze e doppioni, potenziali fonti di errori e dispendiosi da eliminare. E non vanno trascurate le differenze ortografiche: mi viene in mente un database in cui i termini autofill, auto fill e auto-fill vengono restituiti come risultati di tre ricerche diverse.
 

Altri esempi di termini informatici usati come “etichette” intercambiabili:
Tasti di scelta (rapida) 
Domande sulle risposte…
Font, typeface, famiglie e tipi di carattere – 1
Decifrare, decodificare, decrittare, decriptare


Google non ha un termine specifico per 2 nel browser, ma usa la descrizione match to [one’s] browsing history, in italiano corrispondenze con la cronologia di navigazione; Microsoft usa completamento automatico.