Una mano di greenwash

Ho trovato molto interessanti le osservazioni di Giovanna Cosenza sull’evoluzione del linguaggio con cui i media, le imprese e le istituzioni parlano di temi legati all’ambiente:

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una evoluzione continua delle parole usate per identificare i temi ambientali: dal termine “paesaggio” si è passati ai generici “natura” e “ambiente”, e grande successo ha avuto fino a poco tempo fa anche la parola “ecologia”. Adesso sono molto diffusi i termini “green”, “sostenibilità” e “bio. Dietro questa evoluzione dei termini possiamo identificare due grandi direttive del cambiamento lessicale
[continua in Dalla “natura” al “green”: come cambia la comunicazione ambientale]

greenwashingViene citato anche il green washing, spiegato come il “lavaggio nel verde” operato da marchi commerciali che vogliono far passare per ecologici prodotti che magari non hanno le caratteristiche per essere definiti green.

Aggiungo una nota etimologica: l’espressione green washing è modellata su white washing. In inglese whitewash è una pittura murale bianca a base di calce, da cui deriva il verbo whitewash, imbiancare.

Whitewashing: non è un “lavaggio”

In senso figurato, l’espressione white washing descrive i tentativi di nascondere la verità su persone, organizzazioni o prodotti per proteggerne la reputazione o farli apparire migliori di quanto siano. In inglese la metafora non è quella di “ripulire” o “lavare” – traduzioni letterali diffuse ma errate – bensì di “ricoprire” per occultare, quindi anche “conferire una patina” sotto cui però rimane il problema o non c’è alcun cambiamento (cfr. anche l’espressione biblica whitewashed tombs, i sepolcri imbiancati).

Tornando al green washing (o greenwashing), si potrebbe dire che è il tentativo di dare a prodotti o comportamenti una patina di credibilità ambientale od ecologica (o, come suggerisce .mau. nei commenti, un verniciatura ecologista) tramite operazioni che in realtà sono solo di facciata.


Pinkwashing, rainbow washing e altre “riverniciate”

Sono modellati su whitewashing anche altri neologismi che combinano un colore con l’elemento –washing. Il rosso, spesso associato alla sinistra, ha dato origine a redwashing, azioni volte a dare un’immagine progressista, attenta alla giustizia sociale e alle pari opportunità, mentre il viola è il colore del purplewashing che si prefigge di conferire credibilità femminista.

Hanno avuto una notevole diffusione pinkwashing e pinkwasher, usati per descrivere le aziende che si fanno pubblicità dando il loro supporto alla ricerca contro il cancro al seno (negli Stati Uniti ha come simbolo un nastrino rosa, pink ribbon).

immagine da The Cramer-Krasselt Cultural Dictionary 2009

In alcuni contesti si descrive come pink-washing anche la “femminilizzazione” di giocattoli e altri prodotti tradizionalmente considerati maschili per renderli più attraenti per le bambine o per le donne (esempi in Ad Takes Off Online: Less Doll, More Awl), una strategia commerciale nota anche come pinkification.

Si usa pinkwashing anche per prodotti o servizi promossi come gay-friendly. Un’espressione correlata è rainbow washing: consiste nel mostrare sostegno al movimento LGBTQ usando i colori della bandiera arcobaleno nei social, nel proprio sito, nelle pubblicità, per alcuni dei propri prodotti ecc., in particolare in concomitanza del mese noto come Pride Month e di parate del Pride con forte impatto mediatico. Esempi di modifica con “riverniciata” arcobaleno di alcuni noti marchi, usati sui profili Twitter per vari Pride Month:

Esempi di logo di marchi modificati con i colori arcobaleno: BMW, Levi’s, Bayer, IBM, MasterCard, Unilever, Durex, Nestlé, Coca Cola, Mercedes Benz, Cisco, Feltrinelli

Sono invece specifici dell’industria cinematografica e televisiva alcuni tipi di “washing” che non rispettano alcune caratteristiche di personaggi storici, della letteratura o della tradizione popolare per rendere le produzioni più appetibili al grande pubblico. Si ha straightwashing quando viene rappresentato come eterosessuale (straight) chi invece era gay o bisessuale, e whitewashing (nuova accezione!) se vengono affidati ad attori bianchi ruoli che richiederebbero attori di minoranze o gruppi etnici diversi da quello prevalente occidentale. Esiste però anche il blackwashing, fare interpretare ad attori di colore personaggi che in origine non lo erano.

Questo significato è recente e non è l’accezione principale di blackwashing, antonimo di whitewashing in uso dal XVIII secolo, che letteralmente vuol dire tingere di nero e in senso figurato denigrare, screditare o infangare la reputazione.

[Aggiornamento 2020] Durante le proteste scatenate negli Stati Uniti dall’uccisione di George Floyd è emersa un’ulteriore accezione di blackwashing, usata per descrive iniziative ad alta visibilità di aziende e personaggi famosi bianchi per migliorare le proprie credenziali antirazziste, come ad es. influencer che postano selfie con vistosi cartelli con l’hashtag #BlackLivesMatter (cfr. woke-washing qui sotto).

Altri neologismi modellati su whitewashing / greenwashing ma che usano riferimenti diversi dai colori sono social washing, iniziative di facciata per comunicare un’immagine etica e migliorare la reputazione di un’azienda oppure per darle un’immagine “social”, e openwashing, che in contesto open data è l’azione di presentare come “aperti” dati che in realtà non lo sono. Aziende e organizzazioni che sbandierano la parità di genere e i ruoli di rilievo affidati a donne fanno invece gender washing / genderwashing.

[2018] In occasione dei mondiali di calcio in Russia ha avuto una certa diffusione sportswashing, l’uso di un evento sportivo di rilevanza globale per migliorare l’immagine e la reputazione di un paese.

[2019] Woke-washing descrive chi si appropria dei temi e dei valori di chi combatte le ingiustizie sociali, dal neologismo woke, “attento, vigile”, descritto in “the baby is woke”.

[2020] Nella prima fase della pandemia di Covid, Corona-washing è stato usato per descrivere le campagne opportunistiche di alcune aziende che hanno fatte proprie manifestazioni collettive di solidarietà, come ad es. gratitudine al personale sanitario o iniziative di sostegno ai più colpiti dalla pandemia, per trasmettere un’immagine compassionevole e sensibile di sé. Esempi in Coronawashing: for big, bad businesses, it’s the new greenwashing.

[2022] Con artwashing sono state descritti sponsorizzazioni di eventi artistici, donazioni a musei e fondazioni, aperture di spazi artistici ecc., operati da personalità discusse come ad es. oligarchi russi o emiri per acquisire credibilità nel mondo occidentale. Con charity-washing o charitywashing si descrive la promozione di prodotti dichiarando che parte dei proventi, senza ulteriori dettagli, verranno devoluti a una o più organizzazioni benefiche.

Altri esempi in Whitewash, pinkwash, cloudwash, and blackwash: the many shades of –wash (Oxford Dictionaries), che confermano la produttività dell’elemento –wash, così diffuso da poter essere considerato un libfix.

6 commenti su “Una mano di greenwash

  1. Garance Le Guillermic:

    Magari si potrebbe rendere con “rinverdare” o ancor meglio “inverdire”, da accostare al già esistente “rinverdire”. 🙂

  2. Licia:

    @Garance, grazie per i suggerimenti. In effetti in italiano è difficile trovare una soluzione che come in inglese riesca a differenziare due concetti simili ma con connotazioni opposte: uno negativo, greenwashing, e l’altro positivo, greening (“a trend towards becoming eco-friendly”).

  3. Mauro:

    Devo essere sincero: io amo la natura… ma quando sento sento parlare di “green” invece che di “verde” vengo preso da voglia di inquinamento totale 🙂

    Saluti,

    Mauro.

  4. Licia:

    @Mauro, sfondi una porta aperta: anche per me green è un forestierismo superfluo!

  5. Licia:

    @.mau., sarebbe stato il titolo giusto per questo post! Ho appena aggiunto il suggerimento nel testo.

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