Aggiornamento a Test your vocab

Qualche mese fa avevo parlato di Test your vocab, un progetto americano-brasiliano per calcolare il vocabolario di inglese dei partecipanti.

Sono stati pubblicati alcuni risultati relativi ai non madrelingua, ovviamente da prendere con alcune cautele, ma comunque interessanti. In Results by country si scopre che, come prevedibile, gli scandinavi hanno ottenuto i risultati migliori.

bandiera islandeseMeno scontati invece altri dati, ad es. i partecipanti italiani avrebbero mostrato di avere un vocabolario più ampio dei tedeschi (suppongo che nel test alcune parole di origine latina ci abbiano facilitati) e anche degli islandesi, eppure chi è stato in Islanda avrà notato che tutti parlano inglese molto bene e che si vendono e quindi leggono moltissimi libri in ingese.

9 commenti su “Aggiornamento a Test your vocab”

  1. Flavio Pas:

    Innanzitutto complimenti per il blog.
    Questo dato, sorprendente, dell’Italia non può essere dovuto al fatto che gli italiani, in genere, non hanno un gran rapporto con il web? I siti come questi, probabilmente, sono conosciuti da una nicchia che già conosce l’inglese e di conseguenza solo quella nicchia, più o meno grande che sia, ha partecipato al test.

  2. Licia:

    Grazie Flavio. In effetti il problema di questi test e sondaggi su Internet è che non si sa quasi mai quanto sia rappresentativo il campione che risponde alle domande. Peccato non abbiano incluso il numero di partecipanti, perché sarebbe stato interessante vedere quanti italiani hanno partecipato rispetto ad altri di paesi simili.

  3. Rose:

    E non buttiamoci sempre giù! 😉
    Io penso che nello scritto gli italiani conoscano molto più inglese di quanto loro stessi non credano. Il problema, per la maggior parte di quelli che l’hanno studiato anche solo alle superiori, è che non lo parlano. Pudore? timore di sbagliare? troppa importanza data nella scuola alla grammatica e poca o nessuna conversazione? Ecco, quest’ultimo fattore è importante. La scuola dovrebbe imparare (sì, anche la scuola deve imparare) che lo scopo primario, nell’acquisizione di una lingua, è COMUNICARE, non solo mettere assieme frasi perfette, dal punto di vista della sintassi.
    Abbiamo generazioni di studenti che si sono fatti spesso 8 anni d’inglese e non sanno conversare. 🙁
    Non so se nei paesi scandinavi i giovani abbiano più possibilità di viaggiare e soggiornare all’estero, ma di sicuro usano di più l’inglese, perchè, probabilmente, vengono addestrati a farlo.

    OK, mi sono sfogata. 😉

  4. morgaine:

    Penso anch’io come Flavio Pas che questi test li fa solo chi l’inglese lo sa già e ragionevolmente bene. Se no non ci prova nemmeno. E penso anche che l’italiano colto che viaggia per il web ha il vantaggio competitivo del latino e magari anche del greco, rispetto ai nostri vicini tedeschi (comparabili per numero). Ricordiamo anche che gli islandesi sono pochi pochi e per quanto possano essere pochi gli italiani “attivi” saranno probabilmente tanti in confronto a loro.

  5. a George:

    Il fatto è che nei paesi scandinavi possiamo ascoltare il dialogo originale nei film, che sono sottotitolati. Allora, gratuitamente, si ottiene non soltanto l’americano (più disperso), inglese, ma anche una traduzione del senso. Non è literale, perche non ci sono più di due righe. Altre lingue sono poche nella televisione dello stato; francese più frequente dell’italiano (Commisario Montalbano). E sempre stato così. Non vale il costo di fare doppiaggio per i piccoli paesi. E noi scandinavi pensiamo che l’analfabetismo è più disperso negli altri paesi, come Germania, Francia, Italia o Spagna (oppure gli Stati Uniti).

  6. Licia:

    Grazie a tutti per i commenti. Mi hanno fatto ripensare a quello che anni fa mi aveva detto un insegnante di un Goethe-Institut in Germania. Secondo lui dalle competenze di chi frequentava i corsi si poteva capire l’impostazione dei sistemi scolastici dei paesi di origine, ad esempio tra gli italiani la conoscenza della grammatica tedesca era sempre ottima, specialmente se paragonata a quella di altri studenti, ma le capacità di conversazione erano spesso molto scarse.

    Probabilmente si può fare un discorso simile anche per l’inglese, perlomeno per quelli come me che l’hanno imparato in tempi pre-Internet (e televisione via satellite ecc.), quando c’erano molte meno opportunità di “interagire” con la lingua, se non andando in loco, e quindi l’impostazione di apprendimento era per forza quella scolastica. Spero che nel frattempo siano cambiati i metodi di insegnamento. 🙂

  7. Rose:

    Buon giorno, Licia.
    Hai detto che “sarebbe stato interessante vedere quanti italiani hanno partecipato rispetto ad altri di paesi simili”, però i sondaggi vengono fatti sullo stesso numero di partecipanti, mi sbaglio? Altrimenti come fanno a fare una statistica?

    Poi, chiaramente, dipende dalla cultura di chi partecipa, ma penso che chi lo fa sia più o meno allo stesso livello, ovunque. Temo che i ragazzini che usano internet solo per chattare qua e là, per giocare o per altri scopi ancor meno ‘edificanti’ (cosa che fanno anche molti adulti) non amino molto sottoporsi a test e sondaggi. Non a quelli di carattere culturale, comunque.

    I metodi di insegnamento non sono cambiati, purtroppo, ma è anche vero che chi ha l’opportunità di andare all’estero (meglio da soli, ‘alla pari’ o lavorando, piuttosto che con quei corsi estivi inutilmente costosi), se ha una buona base grammaticale, si troverà avvantaggiato.

  8. Licia:

    Buongiorno @Rose! Per i sondaggi conta non tanto il numero dei partecipanti quanto la composizione del campione. Il problema dei sondaggi su Internet, o dei test come questo, è che di solito partecipa invece chi vuole. Anche se si aggiungono alcune domande sul profilo di chi risponde, non c’è modo di verificare se le informazioni fornite corrispondano al vero. La mia curiosità era capire se gli italiani che avevano risposto fossero tanti o pochi rispetto ai partecipanti degli altri paesi. 🙂
    Va comunque detto che le statistiche che ho citato sono correttamente premesse dall’avvertenza che non si tratta di dati in alcun modo “scientifici”.

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