Tradurre obscenicon? #$*%@!!

The Adventures Of Asterisk Man
striscia: Ed Allison

Trovo molto efficace il termine inglese obscenicon, proposto dal linguista e lessicografo Benjamin Zimmer per descrivere le sequenze di caratteri come #$&%?! usate in fumetti e vignette al posto di imprecazioni o volgarità. Un termine alternativo per lo stesso concetto è grawlix, coniato dal fumettista Mort Walker.

Già nel XIX secolo esisteva la convenzione tipografica di sostituire le lettere di parole volgari con trattini e asterischi, mentre nei fumetti apparivano delle stelle per comunicare il dolore, a cui si sono aggiunti in seguito altri simboli, ad esempio vari tipi di spirale per indicare linguaggio censurabile. Con l’introduzione delle macchine da scrivere, i vignettisti hanno iniziato a usare i caratteri #$&%?!, facilmente accessibili perché sugli stessi tasti dei numeri, e da qui la pratica è passata ai fumetti (centinaia di esempi in Grawlixes Past and Present).

In genere la sequenza dei caratteri è casuale e questo rende gli/le obscenicon una convenzione internazionale subito riconoscibile e usata in molte lingue. Ci sono però alcune eccezioni, ad esempio in inglese $#!+ fa subito venire in mente SHIT.

Lo spunto per un post in tema obscenicon è questa striscia di Dilbert che mi ha fatto pensare che non vorrei essere al posto di un eventuale traduttore italiano:

Dilbert - 21 agosto 2010

In questo contesto i caratteri non sono casuali ma scelti per costruire la battuta con ship*/shit, e si possono notare tratti in comune con il leet speak, che usa caratteri non alfabetici al posto delle lettere.

Aggiornamenti

How #$@!% became shorthand for cursing di Phil Edwards mostra come è nata si è sviluppata questa convenzione di scrittura (via The birth of obscenicons):

Un elenco di interventi di Language Log sull’argomento e la striscia di Zits che l’ha ispirato:

Vedi anche: animoticon (un neologismo tutto italiano), alcune differenze tra emoticon occidentali e orientali, e l’evoluzione Da emoticon a emoji.


* A proposito del verbo ship, in italiano non ha un equivalente e di solito è reso con locuzioni come mettere in commercio”. È un verbo ben noto a chi lavora nella localizzazione, soprattutto per il concetto di simship, il rilascio simultaneo della versione originale di un prodotto e delle versioni localizzate in altre lingue, rese disponibili contemporaneamente nei diversi mercati. Come prevedibile, in questo ambito si mantiene il termine inglese simship e gergalmente si dice “scippare” (o forse dovrei scrivere shippare, che però ha anche tutt’altro significato!).