Ristoranti in crowdsourcing e open source?

Sometimes English is not sexy* but stupid cita un paio di sondaggi in Der Spiegel da cui risulta che la maggior parte dei tedeschi non capisce gli slogan in inglese usati in alcune pubblicità e ne dà interpretazioni a volte strampalate, ad es. c’è chi pensa che Broadcast Yourself (YouTube) significhi “fabbricati il tuo portapane” (altri esempi inglese-tedesco qui).

Sarebbe interessante fare una ricerca simile in Italia, ad esempio tra i lettori di quei giornali che sono sempre più infarciti di parole inglesi, a volte però usate a sproposito (ad es., escludendo chi è stato in America, quanti lettori generici sanno cos’è un mall?)  

titolo Corriere della SeraMi è anche venuto in mente un articolo della settimana scorsa nel Corriere della Sera il cui rimando, qui a sinistra, appariva in mezzo a notiziole su calcio, cantanti e calendari. Dubito che titoli e articolo, Il ristorante fai da te in crowdsourcing, siano stati riletti e che sia stato verificato se fossero comprensibili per il lettore tipico del sito. Per poterli interpretare è infatti essenziale conoscere i concetti associati a crowdsourcing e open source, termini specializzati che, soprattutto il primo, non sono ancora entrati nell’italiano standard.

La giornalista avrebbe potuto trovare il modo di spiegare che crowdsourcing  è un processo produttivo simile all’esternalizzazione (outsourcing, dove un’azienda si affida alle prestazioni di un fornitore di servizi esterno per portare a termine una particolare attività); nel caso specifico del  crowdsourcing, però, le risorse esterne sono costituite da un insieme di persone (crowd) non precedentemente organizzate tra loro che, di solito, contribuiscono su base volontaria e le cui prestazioni non sempre sono retribuite ma possono essere ricompensate in termini di prestigio, visibilità, soddisfazione personale, ecc.

Se le idee e i contributi di chi ha partecipato al progetto sono messi liberamente a disposizione di altri per un eventuale riutilizzo, ecco che si può usare la metafora dell’open source, come nel software il cui codice sorgente è di pubblico dominio.

Una distinzione che si tende a fare tra modello crowdsourcing e modello open source è che il primo è un modello di business in cui c’è sempre un committente, quindi ci sono specifiche finalità commerciali che invece non sono necessariamente presenti nel modello open source. Nel “ristorante in crowdsourcing” citato dall’articolo del Corriere, infatti, un imprenditore ha cercato un’idea originale per un nuovo tipo di ristorante e si è rivolto a una community, i membri di instructables.com (non le “folle” generiche dell’articolo italiano), che hanno contribuito a sviluppare il concetto; la descrizione del progetto fa inoltre  concludere che il ristorante sia stato realizzato con finanziamenti di tipo tradizionale e non un “fai da te” in autogestione come suggerito in italiano. L’ideatore del ristorante diceva:

“I have been involved in several pilot and concept restaurants in the past […] I will open an open-source restaurant that is completely made of, and only serves food based on the original instructables all the members on instructables.com have made or will make”.  

Non mi pare che tutto ciò si capisca dall’articolo italiano: forse meglio evitare rielaborazioni di pezzi tradotti che contengono parole e riferimenti stranieri se non sono del tutto chiari.  

* Il titolo citato all’inizio, Sometimes English is not sexy but stupid, mi ha ricordato che alcuni giornalisti italiani sembrano ignorare che l’aggettivo l'iPhone è sexy?!?inglese sexy può essere un falso amico: se riferito ad es. a un prodotto, vuol dire che è un oggetto appetibile che tutti vorrebbero avere (come l’iPhone al suo esordio). Il significato in questo caso è più simile a “figo” e non a “sensuale” o “conturbante”, che mi pare continuino ad essere le uniche accezioni del prestito sexy in italiano (a parte l’uso peculiare di Beppe Severgnini, che sembra amare molto questo aggettivo, tanto da associarlo anche a salsicce e segni di interpunzione ).

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Vedi anche:

Per l’uso dell’inglese nei messaggi pubblicitari: Marketing plurilingue: tradurre o non tradurre?   
Per altri esempi dell’uso disinvolto di parole inglesi negli articoli del Corriere della Sera, Il Corriere e le parole "tech" da non usare più, il misterioso gatto tuxedo, Uova orientali? Forse no… (Easter egg e sorprese) e Parla come mangi; notevole anche l’interpretazione letterale di once in a blue moon messa in evidenza da Il Disinformatico!
Qui un esempio di crowdsourced restaurant citato anche dall’autore del neologismo crowdsourcing, Jeff Howe, che ho potuto ascoltare a una conferenza davvero interessante qualche anno fa   

Nuovo post: Crowdsourcing e community translation, una modalità di localizzazione ormai molto diffusa.

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2 commenti su “Ristoranti in crowdsourcing e open source?”

  1. Luigi Muzii:
    Posso far rilevare che un codice open source non è necessariamente di pubblico dominio? Fosse così, Microsoft e altri non sarebbero stati, anche ripetutamente, accusati di violazione di licenza.
    Anche la definizione di outsourcing è impropria, giacché si tratta dell’affidamento (semi) permanente a terzi di attività appartenenti al core business aziendale.
    Sul crowdsourcing la confusione non si limita ai giornalisti, e pervade anche molti di quelli che dovrebbero essere addetti ai lavori (v. http://ilbarbaro.splinder.com/post/21795273/Crauch%C3%A9%3F).

  2. Licia:

    @ Luigi Muzii: grazie per la precisazione. In questo contesto, però, forse questi dettagli non sono fondamentali, perlomeno non lo sono se si vuole semplicemente capire di cosa parla l’articolo sul ristorante. 😉

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