Domande sulle risposte…

Post pubblicato il 23 ottobre 2008 in blogs.technet.com/terminologia


In questo periodo il mio team è alle prese con una mole di lavoro notevole (eufemismo!). Proprio quando il tempo manca, capita di avere a che fare con termini in apparenza semplicissimi ma che richiedono parecchia attenzione.

Sto cercando di capire quali siano le sfumature di significato tra tre termini inglesi, i verbi answer, reply e respond*. Appaiono in uno stesso contesto e non sono sinonimi ma identificano concetti specifici e tipi di risposta diversi. Peccato che in italiano oltre a rispondere non ci siano molte alternative (replicare va scartato perché viene già usato per replicate).

In questi casi è fondamentale che le definizioni siano il più precise possibile, con contesti d’uso specifici, per consentirci di trovare soluzioni su misura. Va deciso, ad esempio, quale dei tre concetti possa essere "privilegiato" associandogli il termine standard rispondere.

Troveremo sicuramente una soluzione, ci vuole solo un po’ pazienza per spiegare agli interlocutori americani che non tutte le lingue hanno a disposizione le stesse risorse lessicali dell’inglese ed è per questo che ci servono informazioni così dettagliate. E così continuano le domande sulle risposte…

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Non in questo contesto, ma l’inglese ha a disposizione anche riposte, termine della scherma e in senso figurato una risposta particolarmente arguta o incisiva a una critica o a un insulto.


Commento di .mau:

a me respond suona molto formale; answer più asettico; reply più diretto.   Dovessi usare per forza tre termini diversi, andrei su "reazione", "risposta", "controbattuta" ma ammetto che non li vedo bene come traduzione tecnica…

Commento di Iso:

Le tre parole testimoniano che la ricchezza di una lingua è frutto della contaminazione con altre lingue e culture.  Non sono perfetti sinonimi l’una dell’altra, anzi, ciascuna ha un innesco diverso: question per answer, demand per respond, state per reply.  Cercare ostinatamente la norma per ottenere che tutto un settore vi si conformi, più o meno forzatamente, sta minando la precisione nell’uso della lingua.

Mia precisazione:

Grazie Mau e Iso.
Effettivamente i tre verbi sono sinonimi nel senso che rappresentano una “reazione a un’azione” (signficato generico) ma hanno contesti d’uso e registri diversi (significato specifico), perlomeno nella lingua “standard” (quella documentata dai dizionari). In ambito informatico, quindi non più lessico generico ma specialistico, spesso interviene una certa creatività (e arbitrarietà) nell’assegnare significati specifici a termini già esistenti, e se poi consideriamo che spesso gli sviluppatori non sono di madrelingua inglese, le cose si complicano ulteriormente 😉
Supponiamo ad esempio che un programma preveda un certo tipo di azione Z, e che questa azione possa essere eseguita in tre modi diversi:

1 – automaticamente
2 – semiautomaticamente, in base a specifiche condizioni
3 – manualmente

In inglese potrei chiamare le tre modalità auto Z, conditional Z e manual Z, oppure potrei considerare eventuali sinonimi di Z, diciamo Y e X, e decidere arbitrariamente di chiamare i concetti 1, 2 e 3   X, Y e Z o, in alternativa, Z, Y e X. In questo ambito e con questo uso, i termini X, Y e Z sono diventati semplici etichette e anche se mantengono il significato generico, perdono quello specifico che hanno nella lingua standard per assumerne uno nuovo e peculiare dell’ambito specialistico.

In questo tipo di contesto, quando si decide la terminologia per la lingua di arrivo diventa importante lavorare sui concetti piuttosto che sui singoli termini inglesi, che rimangono il punto di partenza e il riferimento più importante a livello di significato generico ma vanno appunto visti come etichette.